Dopo la dinastia normanna degli Altavilla, che ne aveva unificato i territori, il controllo dell’Italia del Sud fu appannaggio degli Anjou (in italiano divennero gli Angiò), famiglia capetingia discendente da Carlo, figlio di Luigi VIII, re di Francia. Al quale, alla morte di Federico II, guardò il Papa quando decise di trovare un candidato credibile per la corona di Sicilia. Le trattative per definire le condizioni dell’investitura cominciarono subito, ma subirono continue interruzioni, giungendo a conclusione soltanto nel 1265, dopo l’elezione di Urbano IV.
Al termine delle trattative, Carlo scese in Italia a capo di un piccolo esercito. Arrivato a Roma, prima venne nominato senatore e nel gennaio 1266 in Laterano fu incoronato Re di Sicilia. Subito dopo, fattosi raggiungere dal resto del suo esercito, diede inizio all’invasione del Napoletano. Poi, dopo aver sconfitto il 26 febbraio del 1266 nella battaglia di Benevento il rivale Manfredi, venne considerato dal papa e dai Guelfi stessi come il capo del partito Guelfo: fu così coinvolto nella lotta con i Ghibellini che dopo la sconfitta di Benevento stavano tentando di riorganizzarsi per abbattere gli avversari e, pur di riuscire nel proprio intento, avevano cominciato ad invocare l’intervento del giovanissimo Corradino di Svevia.
Indice Articolo
- Corradino tentò di restaurare la dinastia sveva al Sud
- Carlo invece ambiva alla creazione
di un impero del Mediterraneo unificato dal Sud - Il figlio di Carlo I riprese la guerra per riunire la Sicilia al Sud
- Giovanna d’Angiò salì al trono a 17 anni ma fra tanti contrasti
- Le pretese sul trono di Carlo III appoggiato dai notabili del regno
Corradino tentò di restaurare la dinastia sveva al Sud
Questi, preconizzando una possibile restaurazione sveva nell’Italia del Sud, accettò l’invito e nel 1268 attraversò le Alpi alla testa di un piccolo esercito, cui si aggiunsero molti Ghibellini italiani. La fase iniziale dell’avanzata in Italia di Corradino fu un trionfo. Intanto Enrico di Castiglia, suo alleato, aveva istigato la Sicilia a ribellarsi. Insurrezione che, però, non ottenne il risultato sperato. Perché nello scontro decisivo a Tagliacozzo, Carlo, forte delle sua esperienza e appoggiato dai veterani francesi che lo avevano sostenuto nella conquista del Regno, sconfisse il giovanissimo rivale, costringendolo alla fuga e vendicandosi sui prigionieri con inaudita ferocia. Li fece, infatti, riunire tutti in una casa e li bruciò vivi.
L’angioino, poi, dopo aver catturato lo stesso Corradino che era stato tradito da un amico di suo nonno, lo fece decapitare, insieme ai suoi amici nella piazza del Mercato a Napoli. A questo punto, sentendosi ormai sicuro, si fece nominare senatore e signore di Roma e cambiò il proprio atteggiamento anche nei confronti del papa stesso. Non più vassallo pontificio, ma padrone della città.
Carlo invece ambiva alla creazione
di un impero del Mediterraneo unificato dal Sud
Il tutto mentre il ruolo di capo dei Guelfi italiani lo spinse sempre più ad occuparsi di questioni italiane: e cominciò anche a pensare ad un possibile processo di unificazione nazionale, che partisse da Napoli, città che – proprio in ossequio a tale progetto – fece diventare il centro culturale più vivo e fiorente dell’Italia meridionale. Ma la sua ambizione andò anche oltre gli stessi confini nazionali. Tant’è che cominciò a pensare alla possibilità di estendere la propria sfera di influenza nei Balcani ed in Oriente, nella speranza di dare vita, così, ad un vero e proprio impero mediterraneo.
Ma l’ambizioso progetto abortì sul nascere. Purtroppo il quadro politico che aveva condotto Carlo alla conquista del Regno ed all’incoronazione aveva cominciato a mutare velocemente: l’elezione di Rodolfo d’Asburgo aveva normalizzato i rapporti tra impero e papato; e nel frattempo molti suoi antichi sostenitori avevano cominciato a contestarlo mentre cambiava anche l’atteggiamento del pontefice nei suoi confronti. Al punto che nel 1278 papa Nicolò III promulgò la costituzione “Fundamenta militantis Ecclesiae” nella quale fu statuito che, per poter essere eletto alle supreme magistrature romane, bisognava essere italiano e non essere in possesso del titolo nobiliare di principe.
Per Carlo, la sua politica e le sue speranze, fu un colpo durissimo al quale andò ad aggiungersi nel 1282 la cosiddetta rivolta dei Vespri Siciliani che provocò la cacciata dei funzionari angioini dall’isola e l’incoronazione a Re della Sicilia di Pietro III d’Aragona, le cui armate, insieme alle sue flotte, cominciarono immediatamente a dilagare in Calabria, trovando un Carlo in estrema difficoltà, dal momento che gran parte dei suoi sudditi cominciarono ad abbandonarlo per schierarsi sotto le insegne del monarca aragonese, da molti considerato il vero continuatore della tradizione sveva.
Carlo sfidò Pietro d’Aragona e, dopo aver nominato suo figlio, Carlo lo Zoppo, reggente del regno, partì per Bordeaux dove avrebbe dovuto svolgersi il duello, nel rispetto degli ideali del tempo e della cultura dei contendenti. La sfida, però, non ebbe luogo. Arrivato a Bordeaux e resosi conto del tranello che Carlo, con l’appoggio del nipote, il re di Francia, gli stava preparando, Pietro d’Aragona riuscì a fuggire prima di essere catturato.
Intanto il giovane reggente Carlo, erede e vicario del regno, nel febbraio del 1283, nel tentativo di correggere gli errori del malgoverno e recuperare i rapporti fra dinastia e rivoltosi, convocava un parlamento che decise l’epurazione dei funzionari infedeli e corrotti. Opera di pulizia che il principe avviò senza esitazione. Ma era ormai troppo tardi. La guerra in Sicilia infuriava già con estrema violenza ed aveva cominciato ad interessare anche la Calabria.
Il figlio di Carlo I riprese la guerra per riunire la Sicilia al Sud
Rientrato a Napoli, Carlo I morì nel 1285, mentre il figlio omonimo era ancora rinchiuso nel castello di Cefalù, dove lo aveva condotto Ruggero di Lauria per salvarlo dai siciliani che avrebbero voluto ucciderlo. Per riottenere la libertà, Carlo II, nel 1288, dovette lasciare in ostaggio i figli Ludovico e Roberto. Ritornato libero, riprese la guerra per riconquistare la Sicilia, ormai staccatasi ufficialmente dal Regno di Napoli, ma senza riuscire a riportare alcun risultato concreto. Morì nel 1309, dopo aver tentato a più riprese, ma sempre inutilmente, la riconquista dell’isola al Regno di Napoli stesso.
Gli sopravvissero 3 figli: Roberto, Filippo e Giovanni che, insieme a quelli di Carlo Martello, si resero protagonisti di una complessa e convulsa avventura dinastica: vicenda che tra matrimoni, vendette trasversali e fratricide, rivolte dei baroni, ribellioni, guerre civili ed altri avvenimenti cruenti, si sarebbe conclusa nel 1435 con la rovina della famiglia.
A Carlo II, comunque, succede Roberto che, incoronato ad Avignone da Papa Clemente V dal quale ottenne poteri importantissimi, rilanciò in grande stile la politica guelfa e, pensando di costituire in Italia uno Stato nazionale, finì per contrapporsi all’imperatore Enrico VII. Il suo ambizioso progetto, però, nonostante l’appoggio incondizionato del papato, fallì. Né ebbero miglior sorte i suoi molteplici tentativi (nel corso degli anni, ne mise insieme ben sette) di riconquistare la Sicilia.
Giovanna d’Angiò salì al trono a 17 anni ma fra tanti contrasti
Morì nel 1343, lasciando il Regno nelle mani della nipote Giovanna. Una successione che procurò notevoli contrasti fra i discendenti degli altri fratelli. Al momento di salire al trono, la ragazza aveva appena diciassette anni e, nonostante la giovane età, si trovò a dover gestire una situazione difficilissima e decisamente tesa, soprattutto per la voglia di potere che animava la stragrande maggioranza dei suoi parenti. In maniera particolare, con un fratello di suo nonno, il conte Giovanni di Gravina e con i figli Carlo e Luigi e con i cugini Luigi di Taranto e Luigi ed Andrea d’Ungheria. Per ragioni di Stato, la giovane sposò il cugino Andrea d’Ungheria.
Era questi un uomo guercio e rozzo, assolutamente inadatto alla sua femminilità, che, però, fu misteriosamente assassinato nel 1345 ad Aversa, proprio alla vigilia della sua incoronazione a re di Napoli. Fra i tanti pretendenti che si fecero avanti per impalmare la giovane regina, questa scelse e sposò nel 1347 Luigi di Taranto. Ma neanche questo matrimonio fu accolto con particolare entusiasmo dagli altri cugini, Carlo Durazzo e Luigi D’Ungheria, entrambi aspiranti alla successione. E quest’ultimo, per vendicare il fratello della cui uccisione incolpò senza mezzi termini la cognata, decise di occupare il Regno di Napoli.
Luigi partì dall’Ungheria con un esercito non particolarmente numeroso, ma che andò ingrossandosi strada facendo, e fu salutato come l’erede della tradizione guelfa: nel frattempo Giovanna ed il marito Luigi, assolutamente preoccupati della forza, della potenza e delle simpatie italiane che il monarca ungherese stava guadagnando in Italia, decisero di scappare in Provenza.
Conquistato, in maniera fortunatamente incruenta, il regno di Napoli, Luigi fece prigionieri i principi di Taranto e di Durazzo e assunse il titolo di Re di Napoli. Ma per soddisfare la sua voglia di vendetta fece uccidere Carlo di Durazzo, atterrendo così il popolo. Il che scatenò nei suoi confronti una nuova sommossa popolare e consentì a Giovanna di tornare in Italia, per cercare di riconquistare il trono, approfittando delle tensioni venutesi a creare fra la gente.
Si scatenò, quindi, l’ennesima guerra civile che durò fino al 1352. Poi, sottoscritto l’accordo di pace, Luigi l’invasore rientrò in Ungheria e Luigi di Taranto fu incoronato re di Napoli dal legato pontificio. Ma neanche questo riportò la tranquillità nel regno del Sud, anzi la pace continuò ad essere continuamente interrotta da ricorrenti rivolte dei baroni, alla ricerca di sempre nuovi privilegi.
E non si può certo dire che la situazione del regno di Sicilia fosse molto più tranquilla. Anzi, anche qui l’aristocrazia si era ribellata contro la casa d’Aragona e, addirittura, aveva proclamato, seppure per un brevissimo lasso di tempo, Giovanna sua regina.Luigi di Taranto, passò a ‘miglior vita’ nel 1362, senza lasciare eredi.
Sicché la regina, pur collezionando altri due matrimoni, continuò a governare da sola. Nel 1380 fu dichiarata scismatica da Urbano VI che, accusandola di essere stata uno dei protagonisti dello Scisma d’Occidente e di essersi schierata con l’antipapa Clemente VII, la detronizzò ed offrì la corona a Luigi D’Ungheria che stavolta, però, non scese direttamente in Italia ma inviò una spedizione guidata dal nipote preferito Carlo di Durazzo. Il quale, tra l’altro – in quanto sposato con sua cugina Margherita di Durazzo, figlia di una sorella di Giovanna – era formalmente l’erede della Corona di Napoli. Carlo fu incoronato a Roma nel 1381, proprio mentre Giovanna adottava Luigi D’Angiò, figlio del Re di Francia, che fu il capostipite della seconda dinastia familiare.
Le pretese sul trono di Carlo III appoggiato dai notabili del regno
Carlo III trovò a Napoli molti sostenitori: riuscì in pochissimo tempo a conquistarne il trono e, dopo averla costretta ad arrendersi, imprigionò la regina. Ma, subito dopo, fu costretto a scontrarsi in una durissima guerra con Luigi d’Angiò che aveva fatto arrivare dalla Francia un agguerritissimo esercito e, appoggiato dall’aristocrazia, cominciava ad avanzare pretese sul trono. Ma inaspettatamente, nel 1384, Luigi morì e il Regno rimase nelle mani del precedente sovrano. Il quale, però, nel 1385, in seguito ai contrasti intercorsi con il pontefice Urbano VI, fu da questi scomunicato e privato del trono. Assassinato nel 1386 a Buda, lasciò due figli: uno minorenne, Ladislao, ed un’altra, Giovanna.
Salito al trono nel 1390, Ladislao dovette combattere a lungo con Luigi II d’Angiò per conservare nelle proprie mani il trono di Napoli. Nel 1400, finalmente, riuscì ad averne ragione ed a riprendere la vecchia politica della sua famiglia, sperando, però, di aggiungere al trono di Napoli anche quello di Ungheria.
Ma fu costretto a tornare in Italia, perché i suoi avversari della seconda casa d’Angiò erano riusciti a promuovere l’ennesima rivolta popolare contro la casa regnante. Se, però, rinunciò all’idea di conquistare l’Ungheria, Ladislao non rinunciò ai progetti ambiziosi. Sicché, cercando di trarre vantaggi dalla debolezza della Chiesa, pensò bene di lanciarsi nella conquista dell’Italia centrale e, alla morte nel 1406 di Papa Innocenzo VII, riuscì addirittura ad impadronirsi, anche se per pochissimo tempo, della stessa Roma. Il suo progetto, però, non andò a buon fine, perché Firenze e Siena lo costrinsero a rinunciare.
Ci riprovò con successo nel 1408 e, dopo averla conquistata, affidò il governo di Roma ad un senatore di sua personale fiducia e subito dopo allargò il suo dominio a tutto il Lazio ed all’Umbria. Il disegno espansivo, però, fu interrotto dalle conseguenze degli avvenimenti legati allo Scisma d’Occidente: Ladislao scelse di schierarsi con i cardinali conciliari e di sostenere Papa Gregorio XII ma, nel 1409, fu sconfitto e costretto a lasciare Roma. Morì nel 1414, lasciando come unica erede la sorella Giovanna II che, quando nel 1435 morì a sua volta, non lasciò alcun erede. Il che segnò la fine definitiva della dinastia angioina nel Sud e della sua presenza a Napoli.
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