E’ da almeno una decina di giorni che Giuseppe Conte non si prende tutta la scena. Più o meno dall’intervista a Il Fatto Quotidiano del 19 agosto quando invitò, il termine è puramente eufemistico, il M5S e il Pd ad allearsi in vista delle elezioni regionali. L’ultima chiamata perché come spiegò lo stesso Conte si trattava di «un’occasione da non sprecare».
Indice Articolo
- Conte si è ridestato dal suo sogno di leadership
- Conte assiste preoccupato all’aumento degli sbarchi in Sicilia. L’Isola ormai è al collasso
- Il ‘buonismo’ della sinistra ha intensificato le attività delle Ong nel Mediterraneo
- Conte rinvia la modifica dei decreti sicurezza. E sulla scuola decide di rimanere in silenzio lasciando sola il ministro Azzolina
Da allora il silenzio. Certo si dirà che pure per lui era giunto il momento del meritato riposo, ma dieci giorni per un premier e soprattutto per Giuseppe Conte, ormai diventato una presenza fissa e costante delle nostre giornate, non possono che essere un’eternità.
E infatti la scelta è stata dettata più dalla necessità e dal bisogno che dalla volontà. Le brucianti risposte avute dai rappresentanti locali del M5S della Puglia e delle Marche (appello Conte fuori tempo massimo o interessi di Puglia più rilevanti di Conte) hanno rappresentato per Conte come il sale sopra le ferite.
Conte si è ridestato dal suo sogno di leadership
Proprio quelle risposte hanno ridestato Conte da quel sogno di leadership che aveva iniziato a cullare e che i sondaggi, e non certo gli elettori, gli avevano dato. Insomma, Conte che pensava ormai di guidare e di essere diventato il baricentro dell’alleanza si è ritrovato ad essere soltanto quel professore messo lì due anni fa da Di Maio e Salvini attorno al quale costruire il governo sovranista. E che la golden power dell’Esecutivo e della stessa maggioranza, divenuti nel frattempo giallorossa, non sono a Palazzo Chigi ma altrove.
Così la scelta di rinchiudersi nel Castello di Chigi. Anche perché Conte i sondaggi li ha visti e sa benissimo che Liguria, Veneto e Puglia sono perse. Le Marche sono sulla buona strada. E in Toscana, e probabilmente in Campania, tutto si giocherà fino alla fine. Per non parlare del referendum che da che doveva essere vinto a mani basse sta assistendo giorno dopo giorno allo sgretolarsi di solide certezze. Per carità, ieri su La Stampa Alessandra Ghisleri accreditava il Sì ancora di un largo vantaggio, ma al 42 per cento, quindi ben al di sotto di quel 70/75 per cento di cui veniva accreditato qualche mese fa. Mentre c’è un 40 per cento di italiani che ancora non ha deciso cosa votare.
Segno che qualcosa nel Paese sta cambiando, o piuttosto che gli italiani andando a votare ora possono finalmente esprimere le proprie preferenze che non sono, nè vanno confusi con i like delle dirette Facebook. Perciò, Conte proprio per evitare di trovarsi all’indomani del 21 settembre a dover dar conto delle proprie dichiarazioni e prese di posizioni ha scelto il silenzio. Perché se ha potuto archiviare senza problemi la foto opportunity in Umbria con tutto il centrosinistra schierato, è difficile che stavolta potrà fare lo stesso.
Conte assiste preoccupato all’aumento degli sbarchi in Sicilia. L’Isola ormai è al collasso
Ma non sono soltanto le elezioni a preoccupare. Rintanato nel ‘Castello Chigi’ Conte sta vedendo montare in maniera preoccupante la vicenda dell’immigrazione. Gli sbarchi sono sempre più continui con la Sicilia allo stremo, al punto che anche il ministro Lamorgese, che politico non è, ha ormai capito che il fenomeno va gestito e disciplinato. Ma non nel senso tecnico, come farebbe un prefetto come lei, piuttosto sul piano politico.
Ad esempio come fece Salvini che con la formula semplice ma efficace di porti chiusi diede un messaggio molto chiaro di come il governo avrebbe gestito la vicenda degli sbarchi. Un atteggiamento che portò anche l’Unione europea a prendere coscienza di questa emergenza e che l’Italia non poteva essere lasciata sola.
Il ‘buonismo’ della sinistra ha intensificato le attività delle Ong nel Mediterraneo
Adesso è necessario fare la stessa cosa, non nel senso di chiudere i porti, ma si assumere un’iniziativa politica forte che certamente non può essere il buonismo della sinistra di ‘accogliamoli tutti’. Anzi questo ha incentivato le Ong a riprendere le attività nel Mediterraneo, raccogliendo i migranti trasportati dagli scafisti. Un’ammissione fatta dalla stessa Lamorgese che certamente non può essere iscritta nel fronte dei sovranisti.
Il problema però è che adesso con alle porte il voto delle regionali qualunque mossa rischia di essere controproducente. Ecco perché della modifica dei decreti sicurezza se ne riparlerà dopo il voto. Meglio non fare nulla, come sta accadendo anche per la scuola. Per la verità Conte aveva iniziato di buona lena, convocando tutti i ministri e gli stessi capidelegazione avvisandoli che «la scuola è responsabilità di tutti» e che quindi un eventuale fallimento avrebbe interessato l’intero governo.
Conte rinvia la modifica dei decreti sicurezza. E sulla scuola decide di rimanere in silenzio lasciando sola il ministro Azzolina
Ma con il tempo Conte si è esclissato sul tema, lasciando sola la ‘povera’ Azzolina che ormai è l’unica a credere che tutte le scuole potranno aprire il 14 settembre. Invece è sempre più chiaro che ogni Regione andrà per conto suo. Ad esempio, Marco Marsilio, governatore dell’Abruzzo ha già annunciato che le scuole lì riapriranno il 24. E così probabilmente anche in Campania.
Per non parlare della questione dei banchi singoli, del personale che manca e che non vuole fare i tamponi. Insomma, uno stillicidio che sta mostrando la totale impreparazione del governo. E per evitare di essere travolto dalle polemiche che ci saranno, e proprio a ridosso delle elezioni, Conte si è chiuso nel suo Castello e nel suo silenzio.
E nel mentre è rinchiuso nel suo Castello Conte cerca di guardare al futuro che si chiama soprattutto Recovery Plan. Oggi iniziano le audizioni in Parlamento con il debutto del commissario Paolo Gentiloni.
Conte deve cercare di chiudere tutto entro il 15 ottobre, data utile per consegnare il lavoro all’Unione europea. Finora però il lavoro del coordinatore del Ciae, il ministro Amendola, è stato di raccogliere le richieste giunte dai vari ministeri. In tutto oltre 530 progetti che però non rispondono a una precisa filosofia di interventi, ma piuttosto a una serie di misure, alcune anche datate, secondo la logica dei finanziamenti attraverso i Fondi europei.
Non proprio quello che vuole l’Unione europea, che si aspetta progetti e piani che abbraccino ampie aree e soprattutto rispondano a precise esigenze di modernizzazione e sviluppo del Paese. Quindi, un lavoraccio quello che attende Conte anche perché con una maggioranza così sfilacciata sarà difficile fare una selezione e individuare aree di intervento.
Naturalmente tutto però in attesa del voto del 20 e 21 settembre. Se la maggioranza riuscirà a passare indenne questo appuntamento, allora Conte abbasserà il ponte levatoio e uscirà dal Castello per affrontare le sfide che lo attendono. Ma fino ad allora il ponte rimarrà ben issato.