Serve una riflessione seria, non la solita liturgia politicizzata
Lasciamo stare le polemiche sul dover festeggiare in maniera sobria il 25 aprile ed anche la morte di Papa Francesco, cerchiamo, invece, in maniera onesta di capire cos’è oggi la Festa della Liberazione. Il 25 aprile dovrebbe essere la festa della libertà, della fine della guerra, dell’inizio della democrazia, ma la mancanza di un racconto condiviso, l’uso politico e strumentale della memoria e il carico ideologico di alcune celebrazioni ne fanno ancora oggi una data più divisiva che inclusiva, specialmente per una parte del centrodestra e della destra storica.
La storia della Resistenza è stata strumentalizzata per fini politici, ed usata come una clava dalla sinistra contro la Destra. A rendere questo appuntamento divisivo concorre anche il mancato riconoscimento dei percorsi di riconciliazione e la difficoltà di riconoscere il dolore e le scelte anche dei vinti, o di chi scelse strade diverse come i giovani della Repubblica Sociale Italiana.
Tutto ciò ha lasciato una ferita aperta nella memoria nazionale negando momenti di ricomposizione storica e di inclusività nel ricordo. La narrazione storica che finora c’è stata non è condivisa neanche da molti di quelli che vi parteciparono.
Il 25 aprile, infatti, viene talvolta percepito come una festa “di parte”, associata esclusivamente alla sinistra o a una sola parte della Resistenza. C’è stata finora la volontà di ignorare la partecipazione attiva delle altre componenti politiche, quelle cattoliche o liberali per esempio, che hanno contribuito alla Liberazione, ma che non ricevono pari riconoscimento nel racconto pubblico.
L’esempio più eclatante dell’atteggiamento di pretesa di una parte della sinistra di dover essere l’unica parte ad avere il diritto di festeggiare la ricorrenza è l’ostilità che ogni anno viene manifestata nei confronti della Brigata Ebraica con continui tentativi di aggressione.
Italiani buoni e italiani cattivi
Chi oggi ricorda la Liberazione dovrebbe farlo con rispetto per la complessità della storia, riconoscendo il valore di chi combatté per la libertà, ma anche il dolore di un popolo diviso, di un’Italia che ha conosciuto il dramma della guerra civile. E invece si preferisce agitare vecchie bandiere e dividere ancora una volta gli italiani tra «buoni» e «cattivi».
Se vogliamo davvero costruire una memoria che appartenga a tutti, serve uno sforzo di maturità. Serve una riflessione seria, non la solita liturgia politicizzata. Perché la libertà non ha colore, e la storia non si celebra solo con slogan, ma con verità e rispetto.