L’obiettivo è far luce sulle motivazioni del sequestro dell’8 aprile
Gli inquirenti cercano il movente del sequestro-lampo avvenuto l’8 aprile scorso a San Giorgio a Cremano, che ha visto vittima un ragazzo di 15 anni, figlio di un imprenditore. Il giovane è stato tenuto in ostaggio per quasi dieci ore, prima di essere liberato. Le indagini, coordinate dal pubblico ministero Henry John Woodcock e condotte dalla polizia, hanno portato nei giorni scorsi a una perquisizione nei confronti del padre del ragazzo.
L’uomo è attivo in più settori economici insieme ad altri membri della famiglia. Tra le imprese riconducibili al suo nucleo figura anche un autolavaggio dove, per un breve periodo, aveva lavorato Antonio Amaral Pacheco de Oliveira, 24enne italo-brasiliano nato in Germania, che poche ore dopo la liberazione dell’ostaggio è stato arrestato.
Amaral unico indagato, ma si cercano eventuali complici e mandanti
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Amaral è al momento l’unico soggetto formalmente coinvolto nell’inchiesta. È lui, ripreso anche da una telecamera di sorveglianza, ad aver trascinato con forza il minorenne all’interno di un furgone bianco, poi risultato rubato nel settembre 2024 a Cava de’ Tirreni.
In uso ad Amaral risultava anche l’appartamento in ristrutturazione adibito a nascondiglio per l’ostaggio. Gli investigatori, racconta Dario Del Porto su «Repubblica», sono certi che non abbia agito da solo. Si lavora infatti per identificare almeno due complici e, soprattutto, per risalire ad eventuali mandanti. Le indagini sono affidate al commissariato locale e alla squadra mobile diretta da Giovanni Leuci.
Le intercettazioni e il tentativo di riscatto
La pista seguita dagli inquirenti si è sviluppata sin dalle prime ore successive alla denuncia del rapimento, avanzata dai familiari del ragazzo. La richiesta di riscatto – un milione e mezzo di euro . ha dato il via a una serie di intercettazioni che hanno condotto all’arresto di Amaral.
Durante il fermo, l’indagato ha ammesso di aver preso parte al sequestro, indicando anche il punto in cui aveva abbandonato la maschera indossata durante l’azione criminale, nei pressi dell’uscita di Arco Felice. Successivamente, però, ha scelto di non collaborare, avvalendosi del diritto di non rispondere davanti al giudice per le indagini preliminari.
Il padre: «Forse per gelosia»
Nessuna spiegazione concreta è emersa, finora, da parte della famiglia della vittima. Il padre, interrogato a caldo, ha escluso ipotesi legate a rapporti economici sospetti. «Forse per gelosia. Ho fatto sempre attività in vista, curato eventi. Mio figlio ha una minicar. Avranno creduto che fossimo chissà quanto ricchi» ha affermato il papà.
Resta quindi il nodo centrale delle indagini: trovare la vera ragione dietro un’azione definita dagli inquirenti premeditata e organizzata nei minimi dettagli. La recente perquisizione, disposta dalla Procura, mira a far emergere nuovi elementi utili per decifrare le dinamiche e le responsabilità di un sequestro che ha scosso la comunità locale.