Per il filosofo la scuola come fondamento dello Stato
Giovanni Gentile è stato uno dei pensatori più originali del Novecento italiano, da molti definito come il più grande del Secolo breve. La sua filosofia, che prende forma definitiva già prima del 1919, si fonda sull’idea che il vero motore della storia non sia la materia, come sosteneva Marx con i suoi rapporti di produzione, ma l’attività spirituale dell’uomo. Tutto ciò che è reale, per Gentile, è pensiero in atto, e questa attività non è mai statica o contemplativa, ma creativa, concreta, capace di plasmare la realtà.
È l’attualismo: un pensiero vivo che non si limita a osservare il mondo, ma lo genera continuamente. In questo senso, la filosofia non è un sapere astratto, ma un impegno da tradurre in storia, da vivere e incarnare nella quotidianità di un popolo. Il sogno di Giovanni Gentile è quello di portare a compimento l’economia nell’etica, ovvero superare la dimensione materiale della società per elevarla a una sintesi superiore, in cui lo Stato non sia solo struttura politica, ma organismo etico, pedagogico, guida morale della collettività.
La scuola: il luogo in cui si forma la coscienza
Giovanni Gentile ha sempre riconosciuto nella scuola il cuore di questo processo: il luogo in cui si forma la coscienza del cittadino, dove il popolo viene riconosciuto come una persona, come una grande famiglia. Questo senso paterno, che attraversa tutta la sua riflessione, si traduce in una visione dello Stato che guida, accompagna, ma soprattutto educa. In questo quadro, il filosofo interpreta il fascismo delle origini non come un’improvvisazione, ma come il compimento di un’antica vocazione dello spirito italico.
Pur essendo recente come fenomeno politico, il fascismo – secondo Giovanni Gentile – affonda le radici in una profondità spirituale che appartiene alla storia italiana. Simbolico, da questo punto di vista, è il fatto che la Dottrina del fascismo venga pubblicata solo nel 1932, dieci anni dopo la marcia su Roma: prima la rivoluzione, poi la dottrina. È l’azione a precedere la teoria, è la prassi che reclama in un secondo momento una riflessione ordinata.
Giovanni Gentile, un pensatore critico e rivoluzionario
Eppure, Gentile non fu mai un pensatore allineato. Tra il 1930 e il 1934 fu tra i primi a criticare apertamente il Concordato con la Chiesa, che riteneva un limite alla piena autonomia dello Stato etico, che doveva rimanere, per lui, la più alta espressione spirituale della comunità. In questo senso, fu un autentico rivoluzionario: non solo per aver sostenuto la rivoluzione fascista, ma per aver cercato di darle un’anima, una direzione filosofica coerente, capace di trasformarla da evento politico in processo storico, profondo e mistico. Il suo pensiero non fu mai semplice giustificazione del potere, ma tentativo costante di conferirgli senso, forma e responsabilità.
Una morte tragica, un’eredità viva
La sua vita si concluse tragicamente il 15 aprile 1944, quando fu ucciso a Firenze da un commando partigiano guidato da Bruno Fanciullacci. Ma la sua morte non ha spento le domande che il suo pensiero ha sollevato e che ancora oggi risuonano: come si costruisce una nazione? Come si educa un popolo? Può la filosofia diventare forza creatrice della storia? Giovanni Gentile ha provato a rispondere, con coerenza e radicalità, offrendo al pensiero italiano un orizzonte che continua a interrogarci e a sfidarci.