Violenza, danni e sacrifici di soci e operatori spesso vanificati
Dietro le porte delle comunità che accolgono MSNA (minori stranieri non accompagnati) ci sono storie di sacrificio, dedizione e resistenza. Soci che investono risorse economiche personali per creare spazi sicuri, e operatori che ogni giorno affrontano situazioni di estrema difficoltà. Un impegno che si scontra sempre più spesso con episodi di violenza, fughe, menzogne e devastazioni che mettono a rischio non solo la stabilità delle strutture, ma anche la dignità di chi sceglie di non voltarsi dall’altra parte.
- Soci che sostengono, strutture che vengono continuamente danneggiate
- Operatori e soci in prima linea: tra violenza e segnalazioni infinite
- Allontanamento immediato e strutture specializzate
- Una rete di protezione più forte: la richiesta delle comunità
- Ecco cosa serve per salvare queste realtà:
- Se crollano le comunità, crolla l’accoglienza
Soci che sostengono, strutture che vengono continuamente danneggiate
Le comunità di accoglienza nascono dalla volontà di gruppi di soci che, con spirito solidale, anticipano i fondi necessari per avviare e mantenere le strutture. Oltre alla fase iniziale che prevede adeguamenti strutturali, tecnologi e organizzativi, unitamente ai ritardi burocratici, con investimenti che non recupereranno, coprono spese per l’affitto, l’arredamento, il vitto e il vestiario, oltre a garantire la presenza di figure professionali essenziali come il coordinatore, l’educatore, l’operatore per l’infanzia e l’animatore sociale, affiancati da psicologi e altri specialisti.
Ma mentre i contributi pubblici arrivano con lentezza e discontinuità, la realtà quotidiana logora sia le risorse economiche che la volontà di andare avanti. I danni materiali sono all’ordine del giorno: mobili distrutti, porte sfondate, vetri in frantumi, stanze devastate da scatti di rabbia. Ogni riparazione pesa sulle spalle dei soci, che si trovano a dover scegliere se investire ancora o arrendersi all’evidenza che, così, non si può più andare avanti.
«Abbiamo ricostruito più volte gli spazi comuni, cambiato le serrature, sostituito i letti rotti», racconta un coordinatore. «Ma ogni volta che mettiamo a posto, nel giro di pochi giorni, dobbiamo ricominciare da capo».
Operatori e soci in prima linea: tra violenza e segnalazioni infinite
Se i soci sostengono il peso economico, gli operatori vivono quello umano. Coordinatori, educatori, operatori per l’infanzia e animatori sociali lavorano ogni giorno a stretto contatto con i minori, cercando di creare un ambiente protetto e educativo. Tuttavia, la realtà è spesso ben diversa: molti ragazzi, segnati da esperienze traumatiche o da una cultura della diffidenza verso le regole, reagiscono con violenza o cercano di aggirare il sistema.
Le aggressioni agli operatori sono sempre più frequenti: insulti, minacce, spintoni, persino vere e proprie aggressioni fisiche. In alcuni casi, i minori sfruttano la loro età come scudo, consapevoli delle tutele che la legge garantisce loro. Mentono, si allontanano senza permesso, rientrano a notte fonda o non rientrano affatto, costringendo gli operatori a segnalare ogni assenza alle autorità, giorno dopo giorno, in un ciclo infinito di burocrazia e impotenza.
Ma c’è di più: spesso i minori più problematici creano veri e propri gruppi di potere all’interno delle strutture, organizzandosi in piccoli nuclei che impongono la loro “legge” con la violenza. Questi gruppi non solo terrorizzano gli operatori, ma coinvolgono anche altri ragazzi più fragili, trascinandoli in dinamiche di prepotenza e distruzione che rendono impossibile la convivenza.
«A volte si alleano in due o tre, formano una sorta di gang interna», racconta un educatore. «Minacciano gli altri ragazzi, li obbligano a rubare cibo o soldi, e intervenendo, rischiamo di essere aggrediti. Quando e se allontanati, vengono semplicemente spostati in un’altra struttura, dove ricominciano da capo».
Allontanamento immediato e strutture specializzate
Una delle soluzioni più urgenti è la possibilità di allontanare immediatamente i minori violenti che mettono a rischio la sicurezza di operatori e altri ospiti. Tuttavia, il problema non si risolve semplicemente trasferendo il ragazzo in un’altra comunità: così facendo, si sposta solo il problema, lasciando che il ciclo di violenza riparta da capo.
Questi minori devono essere inseriti in strutture specializzate, con personale formato per gestire situazioni di alta conflittualità, dove il percorso educativo possa continuare, ma con un controllo più rigido e protocolli di sicurezza adeguati. Senza questa rete di protezione, il sistema rischia di implodere, lasciando le comunità ordinarie indifese di fronte a comportamenti distruttivi e recidivi.
Una rete di protezione più forte: la richiesta delle comunità
Le comunità non chiedono di smettere di accogliere, ma di farlo con strumenti adeguati. La presenza di figure professionali, la formazione continua degli operatori e il sostegno psicologico sono fondamentali, ma non bastano se manca una rete di protezione più ampia e tempestiva.
Ecco cosa serve per salvare queste realtà:
- Allontanamento immediato dei minori violenti, con trasferimento in strutture specializzate capaci di gestire casi di alta conflittualità.
- Maggiore tempestività negli interventi delle forze dell’ordine, per proteggere gli operatori e fermare le situazioni di violenza prima che degenerino.
- Procedure più rapide per l’erogazione dei fondi pubblici, che permettano alle comunità di sostenere le spese quotidiane e riparare i danni strutturali senza indebitarsi.
- Progetti educativi intensivi per i minori a rischio, con percorsi obbligatori per insegnare la convivenza civile, il rispetto delle regole e la gestione della rabbia.
- Un sostegno psicologico continuativo per operatori e minori, che aiuti a elaborare i traumi e a prevenire comportamenti distruttivi.
Se crollano le comunità, crolla l’accoglienza
Dietro la scelta di aprire una comunità di accoglienza c’è un atto di amore verso il prossimo, ma senza strumenti adeguati, anche l’amore più grande rischia di spegnersi. Se le strutture chiudono, i minori resteranno soli, esposti a rischi ancora maggiori. E la società perderà un pezzo della sua umanità.
Aiutare chi aiuta è il primo passo per costruire un sistema di accoglienza che funzioni davvero. Perché accogliere è un dovere, ma proteggere chi accoglie è una responsabilità collettiva.
Savio Marziani
ex direttore sanitario
degli ospedali di Castellammare e Boscotrecase