Non solo monastero delle oblate, Napoli è abbandonata: troppi i luoghi chiusi

Laudanno: «La politica è troppo vecchia, i giovani devono partecipare»

Il monastero delle oblate di Materdei solo uno dei tanti spazi da riqualificare e restituire alla città. Dopo l’allarme lanciato da «ilSud24» e dagli attivisti della zona, pare lo abbia compreso anche l’amministrazione comunale che si è detta disposta a mobilitarsi affinché il monastero, bene culturale risalente al 1700, venga messo in sicurezza. Attualmente però non si è ancora discusso di un’eventuale ridestinazione d’uso. Alcuni cittadini sperano che il monastero torni a essere un luogo di aggregazione aperto alla cittadinanza, ma non è l’unico spazio abbandonato in stato fatiscente.

In città esistono diversi spazi abbandonati da anni o dimenticati, anche di rilevanza storico-artistica. I giovani della città li bramano, li cercano, si impegnano ad accudirli e custodirli. Salvatore Paternoster, presidente dell’associazione Giovani Promesse, il primo ad aver segnalato lo stato di degrado in cui versava il monastero, non è l’unico. Una giovane attivista dello stesso quartiere, ex consigliera di Municipalità, Rosanna Laudanno, si impegna quotidianamente nella cura del parco Viviani e ha supportato e affiancato Salvatore nella battaglia per il monastero. Rosanna ha risposto ai microfoni de «ilSud24» ad alcune domande inerenti agli spazi da riqualificare in città e da restituire ai giovani, con annesse proposte sulla possibile ridestinazione d’uso.

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La mancanza di spazi

Quanto è importante per Napoli e per i giovani della città la restituzione degli spazi e perché?

«Napoli è una città che, dal punto di vista urbanistico, non dispone di ampie aree aperte dedicate allo sport o ai bambini. Oggi, con l’aumento del turismo e la pressione sugli spazi pubblici, questa carenza si fa ancora più evidente e rischia di aggravarsi ulteriormente. Restituire gli spazi alla città significa ridarli ai suoi abitanti. Ciò permette non solo di migliorarli, ma anche di rafforzare il senso di responsabilità dei cittadini nei confronti del proprio territorio. Spazi curati e accessibili favoriscono la socialità e la qualità della vita di tutta la comunità».

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«In questo contesto, è fondamentale affrontare il problema degli immobili abbandonati di proprietà del Comune. Napoli è una città da cui molti giovani scelgono di andare via, anche a causa della mancanza di opportunità. Recuperare questi spazi per trasformarli in luoghi di aggregazione, coworking e innovazione potrebbe offrire nuove prospettive e stimolare la crescita partenopea. Un progetto di riqualificazione degli immobili inutilizzati rappresenterebbe un’occasione concreta per migliorare e restituire ai cittadini spazi vivibili e funzionali. Comune e cittadini devono collaborare affinché questi luoghi non restino abbandonati, ma diventino risorse preziose per il futuro della città».

Il punto di riferimento

Uno degli spazi recuperati è il parco Viviani. C’è stato e c’è un grande lavoro dietro, quali sono state le evoluzioni e a che punto siamo?

«Il Parco Viviani è uno spazio che abbiamo recuperato grazie alla collaborazione con le istituzioni, con il dialogo come elemento chiave. Dopo otto anni di presenza, il Collettivo Viviani è riconosciuto come un punto di riferimento per la comunità, mantenendo alta l’attenzione sul parco e garantendone la cura. Uno degli aspetti più importanti è la rete che si è creata: attraverso iniziative sul rispetto dell’ambiente e degli spazi pubblici, promuoviamo la responsabilizzazione collettiva. Il parco è di tutti, e proprio per questo ce ne prendiamo cura insieme».

«In una città densa e in un quartiere soffocato dal traffico, il Parco Viviani rappresenta l’unico polmone verde di 20.000 metri quadri, fondamentale per la qualità della vita. Il nostro impegno è nato per garantirne l’apertura e la fruibilità, partendo da una situazione di abbandono totale. Oggi, grazie alla collaborazione con cittadini, associazioni e Comune, il parco è più vivibile, con nuovi spazi come la libreria in legno e le casette per i pappagalli. C’è ancora molto da fare, ma il nostro obiettivo resta chiaro: proteggere e valorizzare questo spazio affinché continui a essere un punto di aggregazione, un’oasi verde e un bene comune per tutta la collettività».

L’opportunità mancata a Materdei

Ti sei esposta anche riguardo al monastero delle oblate, affiancando Salvatore Paternoster nella sua battaglia. Come pensi che questo spazio possa essere restituito ai cittadini?

«Il Monastero delle Oblate, situato nel quartiere in cui vivo, è un immobile di proprietà del Comune di Napoli che da oltre quarant’anni è in stato di abbandono. Insieme a Salvatore abbiamo cercato di portare l’attenzione su questa situazione, e attraverso il confronto con le istituzioni e l’attenzione dei media, il Comune ha iniziato a programmare un intervento. Immagino che un luogo così grande e centrale possa avere una nuova vita e diventare uno spazio dedicato alla comunità, con funzioni sociali e culturali che rispondano alle esigenze del territorio. Si potrebbe pensare a laboratori per i giovani, spazi per lo sport, luoghi di aggregazione e confronto. Un punto di riferimento accessibile a tutti, capace di offrire opportunità e occasioni di crescita».

«Napoli è una città che sta cambiando ed è sempre più al centro dell’attenzione, soprattutto nel panorama cinematografico e musicale. Sarebbe bello se anche i ragazzi potessero avere la possibilità di sperimentare e formarsi in questi settori attraverso corsi, laboratori e attività pensate per loro. Il Monastero delle Oblate potrebbe diventare un luogo dove coltivare talenti e passioni, in un ambiente che favorisca la creatività e l’incontro».

Una posizione strategica

«Un altro aspetto fondamentale è la sua posizione strategica, che collega Materdei, la Sanità e il centro storico. Questo lo rende un potenziale punto di connessione tra diverse realtà del quartiere, un luogo dove creare sinergie tra residenti, associazioni e istituzioni, valorizzando la sua funzione pubblica. Vedere un immobile di questo valore chiuso da così tanto tempo fa riflettere, soprattutto in una città dove spesso si avverte la mancanza di spazi pubblici per i giovani. Il desiderio è che si possa trovare una soluzione condivisa, attraverso il dialogo e la collaborazione tra cittadini e istituzioni, per restituire questo luogo alla collettività e renderlo uno spazio vivo e utile».

L’attivismo politico e sociale

In che modo i giovani potrebbero essere coinvolti attivamente in queste iniziative e partecipare alla vita politica e sociale di questa città?

«Questa è una domanda complessa e non esistono risposte certe. Credo, però, che finché la politica sarà dominata da una generazione che governa la città da quarant’anni, sarà difficile per un giovane sentirsi coinvolto. Guardando realtà come Milano e Bologna, dove gli amministratori sono più giovani, viene naturale chiedersi perché a Napoli il cambiamento fatichi ad arrivare».

«Oltre all’emigrazione di tanti giovani e talenti, Napoli soffre anche per una classe politica distante, che spesso manca di strumenti concreti per coinvolgere le nuove generazioni. Il vero coinvolgimento nasce dall’avere ruoli di responsabilità: restare ai margini non porta partecipazione. Questo è un problema che riguarda l’Italia intera, dove la politica è sempre più sbilanciata verso figure over 50, lasciando poco spazio ai giovani».

«Personalmente, trovo più stimolante l’attivismo e il lavoro associativo, dove vedo risultati concreti. La politica, invece, è lenta e spesso guidata da persone che non riescono davvero a interpretare il presente e il futuro. Forse, un primo passo potrebbe essere rafforzare il ruolo dei giovani nelle municipalità, rendendole veri luoghi di partecipazione. Se si creassero spazi reali di confronto e responsabilizzazione, il rapporto tra giovani e politica potrebbe cambiare. Napoli ha bisogno di nuove energie, di giovani che restano e partecipano. Creare opportunità di dialogo e responsabilità può essere il primo passo per costruire una città più inclusiva e capace di guardare al futuro».

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