Fuori tempo massimo, oggi 6 agosto 2020 dopo la sospensione ottenuta con ricorso in appello e dopo aver resistito con l’Avvocatura dello Stato nel corso del giudizio promosso dalla Fondazione Einaudi, la Presidenza del Consiglio ha inviato i verbali desecretati alla parte ricorrente, la quale li ha pubblicati sul suo sito, sulla scorta della avanzata richiesta per l’ostensione ed il rilascio dei verbali secretati delle commissioni tecnico-scientifiche sul covid-19. Anche il Copasir aveva chiesto che venissero desecretati.
È la prova del nove, ovvero il riscontro peggiore che si potesse consegnare a mò di prova che la nostra democrazia non si qualifica più per una sorta di regime paritario, la cui interlocuzione tra cittadini e pubblica amministrazione avviene non per diritti reclamati e riconosciuti, ma per concessioni arbitrarie da parte di organismi che devono essere sottoposte al vaglio della giurisdizione.
Difatti nello ‘stato di diritto’ la separazione dei poteri consente alla giurisdizione di garantire, seppur teoricamente e di volta in volta nella sua applicazione pratica, i diritti dei cittadini, così come gli interessi legittimi a loro riconosciuti in via mediata, attraverso l’interposizione delle pubbliche amministrazioni. Su questa sorta di raffinato impianto giuridico si poggiano gli equilibri tra i diversi esercizi delle attribuite e riconosciute titolarità, senza che possano interferire gesti generosi di impianto monarchico.
Su queste premesse si fonda il nostro sistema costituzionale, che permette a ciascuno, siano esse istituzioni, persone, o uomini-istituzioni, che disciplina l’insieme di relazioni secondo regole di condivise visioni e qualificate situazioni giuridiche.
Orbene è di questi giorni l’avviata discussione, giunta oggi ad un nuovo approdo, sulle ragioni che sovrintendono una dialettica, prima procedimentale e poi processuale, ancora parzialmente in essere che mira a chiarire, in ambito amministrativistico, quanto rilevante possa essere il diritto all’informazione dei cittadini, in quanto depositari di interessi specifici e diffusi ed i loro connessi diritti, ed in quanto opaco o poco trasparente possa essere l’orizzonte di dinamiche che meritano particolare attenzione, trattandosi di materie che ineriscono le libertà personali dei cittadini, nonché quanto sia osservato l’assetto costituzionale con i suoi principi fondamentali.
Infatti la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 8615/2020 sull’obbligo della Presidenza del Consiglio dei Ministri di consentire la visione della documentazione relativa ai DPCM sull’emergenza sanitaria è l’occasione per riflettere di nuovo su emergenza, Costituzione, stato di diritto. La vicenda che ha contrapposto la Fondazioni Luigi Einaudi con la Presidenza del Consiglio dei Ministri
Questo il fatto. La Fondazioni Luigi Einaudi, a mezzo di suoi giuristi, chiedeva alla Presidenza del Consiglio dei Ministri l’accesso ai verbali relativi ai pareri dei Comitati tecnico-scientifici sulla base dei quali erano stati emanati i vari decreti COVID 19.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri opponeva il diniego all’accesso ai sensi dell’art. 24, 1° comma, lettera c), l. 241/1990, in quanto, a suo parere, escluso «nei confronti delle attività della pubblica amministrazione dirette all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione».
La Fondazione Luigi Einaudi impugnava allora il diniego dinanzi al TAR Lazio facendo valere cinque motivi di ricorso, con cui la parziale e per nulla convincente posizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri che ha negato l’ostensione dei verbali redatti dalle varie commissioni scientifiche, senza consentire di dare luogo alla piena conoscenza da parte di chi ne abbia interesse.
Sicchè si giunge alla sentenza del TAR Lazio che riconosce il diritto degli interessi diffusi a sapere pienamente sulle dinamiche che afferiscono al diritto di informazione … Ebbene, la ratio dell’intera disciplina normativa dell’accesso impone di ritenere che se l’ordinamento giuridico riconosce, ormai, la più ampia trasparenza alla conoscibilità anche di tutti gli atti presupposti all’adozione di provvedimenti individuali o atti caratterizzati da un ben minore impatto sociale, a maggior ragione deve essere consentito l’accesso ad atti, come i verbali in esame, che indicando i presupposti fattuali per l’adozione dei descritti DPCM, si connotano per un particolare impatto sociale, sui territori e sulla collettività.
Il ricorso veniva pertanto accolto, in considerazione della natura degli atti chiesti in visione nonché delle finalità dello strumento dell’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 33/2013, che oltre a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, ha anche la finalità di promuovere, come nel caso in esame, la partecipazione al dibattito pubblico (T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, 29/04/2020, n. 4381; T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, 28/03/2019, n. 4122).
Pertanto, il provvedimento impugnato veniva annullato con conseguente ordine all’amministrazione di consentire l’accesso ai verbali richiesti mediante l’esibizione e il rilascio degli stessi, previo rimborso del costo di riproduzione e dei diritti di ricerca e visura, nel termine di giorni trenta decorrente dalla comunicazione o, se a questa anteriore, dalla notificazione della presente decisione.
Tale richiesta inerisce i principi secondo cui la condotta della Presidenza del Consiglio dei Ministri assume i contorni di un’attività amministrativa di dubbia costituzionalità, poiché nella misura in cui si pone deroga a libertà costituzionali, noi ci troviamo sempre, e necessariamente, di fronte ad un bivio: a) o la libertà costituzionale è inviolabile, e allora l’atto normativo è sempre incostituzionale (e noi, a proposito di questo, abbiamo già scritto circa i dubbi di costituzionalità delle restrizioni alla libertà personale, che confliggono con l’art. 13 Cost.); b) oppure la libertà costituzionale può essere limitata da una legge ordinaria, perché la norma costituzionale contiene una c.d. riserva di legge (v., ad esempio, gli artt. 16 e 32 Cost.).
Ma, egualmente, in entrambi i casi, è l’atto normativo primario a dover regolare l’eccezione alla libertà costituzionale, e non è consentito che l’atto avente forza di legge semplicemente contenga una nuova delega oltre quella già fissata in costituzione e poi la regolamentazione del fenomeno, e la restrizione della libertà costituzionale, venga disciplinata con altri provvedimenti non aventi detta qualificazione.
Nonostante la vigenza di tali inossidabili principi il Presidente Frattini, della terza sezione del Consiglio di Stato, forse con un eccesso di prudenza, mediante l’assunzione di un decreto inaudita altra parte, ha tuttavia sospeso la sentenza richiamata del TAR Lazio, che seppur rappresentando certamente una questione nuova, meritevole di approfondito scrutinio ha accordato il provvedimento cautelare sulla sentenza impugnata sull’istanza inoltrata dall’Avvocatura dello Stato.
Così veniva negata la piena e necessaria trasparenza dello Stato nel suo operare oggi smentita dal nuovo atteggiamento assunto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, così consentendo la conoscenza di atti, che da subito non andavano secretati. La discussione pubblica, già messa in moto, è destinata a rinfocolare il dibattito sulla compressione oltre misura dei diritti di libertà, dei quali il cittadino si vede amputato, essendo negate prerogative essenziali della sua intima sfera di diritti personalissimi, a cui l’Autorità di governo solo oggi, rivedendo la propria posizione, ha concesso spontaneamente con sorprendente e contraddittorio atto di liberalità la visibilità ed il rilascio: ovvero prima nega e poi concede… così il re si dimostra nudo.
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