Tre pentiti accusano Falanga: gli incontri con il boss Giugliano e la strategia del clan

di Enzo Amato

I verbali: «Quando mi muovevo a Poggiomarino a sostegno di un candidato, quella persona era in mia rappresentanza e non avevo bisogno di fare minacce per ottenere il voto».

Sono tre i collaboratori che hanno riferito del presunto voto condizionato a Poggiomarino. Dal 9 giugno 2023, Rosario Giugliano ha deciso di collaborare con la giustizia, preceduto dai suoi gregari Giovanni Orefice e Raffaele Carrillo.

Tutti e tre hanno riferito di presunti condizionamenti del voto politico espresso in occasione delle consultazioni elettorali a Poggiomarino il 20 ed il 21 settembre 2020. Dichiarazioni che hanno trovato riscontro nelle indagini.

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Rosario Giugliano, noto come «’O minorenne», nell’interrogatorio del 04 ottobre dello scorso anno affermò: «La mia cultura camorristica nasce solto la scuola del clan Alfieri e Galasso che, per mentalità, era un clan che si imponeva sul territorio con il consenso popolare. Proprio per questo motivo la droga sul territorio non era tollerala, mentre reati estorsivi e di consenso elettorale venivano considerati adatti per quel contesto».

Il ritorno a Poggiomarino

Una premessa che introduce a quanto sarebbe avvenuto nel 2020. «Quando sono tornato a Poggiomarino nel 2015 – riferisce ancora Giugliano – ho riallacciato rapporti a livello imprenditoriale ed anche politico. La prima persona con cui mi sono messo in contatto è stato Franco Carillo che, se non sbaglio, nel 2015 era consigliere comunale di opposizione. Questa persona ha sempre avuto una vita politica impegnata. Di costui ho appreso che nella coalizione di centro destra, già in fase di formazione di liste, c’erano problemi per il numero elevato di candidati a sindaco, situazione che poi, in sede di ballottaggi, portò alla vittoria del centro sinistra. In questa fase nessun intervento c’è stato da parte mia. Cosa diversa è accaduta quando sono uscito dal carcere nel 2020 e si votava entro la fine dell’estate».

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Il focus criminale di Giugliano era sempre Poggiomarino, sebbene avesse preso, per questioni personali la residenza a Pagani, nel Salernitano: «La mia idea era quella di riaffermarmi sul territorio di Poggiomarino con tre capisaldi: edilizia, trasporti e gestione della manodopera attraverso cooperative. Ovviamente tali settori, soprattutto il primo ed il terzo, avrebbero richiesto il controllo del territorio e della politica».

Giugliano sarebbe quindi ripartito da Carillo: «Durante i nostri incontri gli dissi che in questa tornata non si doveva sbagliare e bisognava individuare un unico candidato sindaco su cui far confluire tulle le preferenze. lo mi impegnai con lui dicendo che mi sarei speso in prima persona in campagna elettorale». In lizza erano in quattro, tra questi Maurizio Falanga che, secondo Giugliano, «era sponsorizzato direttamente da Carillo».

Gli incontri

«Ebbi due incontri con Maurizio Falanga – spiega il pentito – e gli illustrai le mie idee. Lui fu subito d’accordo con me in relazione all’impostazione che volevo dare. Voglio dire che questi incontri con Falanga erano stati preparati da Carillo che aveva fatto da apripista. Nei miei incontri con Falanga e Carillo, avvenuti nella casa di mia madre a Poggiomarino, fui chiaro a dire che il mio aiuto passava dall’approvazione del P.I.P. a Poggiomarino, nonché dal progetto di riqualificazione del cimitero».

Gli altri candidati, secondo il pentito, furono quindi costretti a fare un passo indietro. «Una volta individuato il candidato sindaco della coalizione nella figura di Maurizio Falanga – spiega Giugliano – ed essendomi garantito l’appoggio di Carillo come rappresentante dei moderati e di Luigi Belcuore quale esponente di Fratelli d’Italia, di fatto avevo il controllo della coalizione di centro destra e quindi della possibile amministrazione comunale».

Poi sarebbe iniziata la promozione da parte del boss: «In campagna elettorale mi sono speso in prima persona con imprenditori, cittadini e parenti per imporre il voto a favore di Maurizio Falanga. Ci tengo a precisare che, quando io mi muovevo a Poggiomarino a sostegno di un certo candidato, era palese che quella persona era in mia rappresentanza e quindi non avevo bisogno di fare minacce per ottenere il voto».

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