Napoli, via Limitone di Arzano: il confine tra due emisferi criminali

di Enrico Biasi

La strada che separa Secondigliano da Scampia era la linea di divisione tra i clan in lotta nel corso della faida delle Vele

Il controllo della camorra su quella lingua di terra, su quelle palazzine dipinte di azzurro chiaro, è sempre stato capillare. Via Limitone di Arzano. Si chiama così la strada che letteralmente separa Secondigliano da Scampia. Da una parte il rione Dei fiori, quello che viene ancora ritenuto il regno della cosca dei Di Lauro. Dall’altra ci sono le Case celesti, uno dei fronti caldi della scissione. Nel mezzo c’è la terra di nessuno, appunto via Limitone di Arzano.

L’origine

Una strada che prende il nome dalla crasi di due parole inglesi, Limit e One. Quelle due parole erano identificative per quella strada nel 1943 come oggi. «Limit One» significava che al cuore della città di Napoli mancava l’ultimo miglio. Furono i liberatori d’Oltreoceano a battezzare quella strada che, ancora fino agli anni Ottanta era nota ai residenti del quartiere come la strada degli americani. In pochi la chiamano ancora così, perché lo slang si estingue con le generazioni di chi lo usa.

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Il cartello in metallo con sfondo scuro e scritta bianca è rimasto lì per anni. Decenni. Mangiato dalla ruggine, ma ancora in piedi. Non molto distante dalla caserma dei carabinieri. «Limit One», recitava. Lo slang di quella nomenclatura non si è perduto, tanto che, quando nel quartiere ci si dava appuntamento al «Limitone di Arzano», significava «ci vediamo verso il cartello» che si trova in prossimità dell’incrocio per Arzano. Quel cartello non c’è più, ma la strada ha preso dignità onomastica dalla consuetudine, via Limitone di Arzano.

Il racconto di un collaboratore di giustizia

«C’era un grande garage alle Palazzine Celesti – raccontò un collaboratore di giustizia – Il garage a cui faccio riferimento ha un’estensione tale da comprendere l’intero complesso abitativo delle palazzine». Il pentito racconta che, malgrado si trattasse di un garage condominiale, era nelle «disponibilità del nostro gruppo», ovvero i Marino. La camorra si interfacciava con la società civile e ne condizionava la vita. «I condomini non camorristi avevano diritto a parcheggiare le loro autovetture» ma questo diritto – raccontano ancora i pentiti – era subordinato al nulla osta della cosca.

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«Quando noi usavamo il garage per i nostri affari illeciti chiudevamo le saracinesche impedendo l’accesso a chi non era dei nostri». I condomini non avevano quindi altro da fare se non adeguarsi e nessuno ha mai avuto la possibilità di lamentarsi. È la politica della paura, del sopruso, della sopraffazione. È la politica della camorra delle Vele nella sua fase più cruenta. Zona di guerra le Palazzine Celesti, fronte caldo via Limitone di Arzano. Ma qualcosa in cambio a quegli inquilini in ostaggio – raccontò il pentito – veniva dato. «Noi mantenevamo la tranquillità nel rione e ad alcune persone che non avevano soldi davamo anche qualcosa per fare la spesa».

Durante il mese di preparazione dell’agguato che segnò l’inizio della faida, l’enorme area parcheggio fu usata dai clan in maniera esclusiva. Ma non serviva solo da garage. Gli operai del clan avevano costruito dei vani all’interno di quell’enorme spazio interrato. Delle botole, per la precisione. «Le quattro armi per l’omicidio Montanino furono nascoste lì». Quell’omicidio segnò l’inizio della prima faida.

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