L’isola della Gaiola: bella e maledetta. Tra leggende e credenze

di Maddalena Villano

È una delle isole minori del golfo di Napoli ma quella più affascinante e misteriosa

Difronte la bellissima costa di Posillipo c’è l’isola della Gaiola, una delle isole minori del golfo di Napoli. In origine era nota come Euplea, che significa «protettrice della navigazione e sicuro rifugio» e per questo vi fu eretto un piccolo tempio. Essendo molto vicina e raggiungibile a nuoto, si ipotizza che, inizialmente fosse il prolungamento del promontorio dirimpetto e che sia stata separata artificiosamente solo in un secondo tempo per volere di Lucullo.

Secondo alcune teorie, il nome Gaiola si deve alle cavità della costa. Infatti in latino «cavea» significa «piccola grotta» e attraverso il dialetto si è poi trasformato in «caviola»; secondo un’altra teoria in dialetto «gaiola» significa «gabbia», nello specifico «gabbia per uccelli». In realtà anche nell’Adriatico e nel Tirreno ci sono delle isole con il nome nome «Gajola» o «Galiola» che, in tardo latino significava «carcere», essendo infatti antica l’abitudine di costruire carceri di sicurezza nelle isole.

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Gli aneddoti sulla Gaiola sono moltissimi; infatti sembra proprio che, nel corso dei secoli, la bellissima isola sia stata teatro di una serie di sfortunati eventi ai danni di tutti coloro che vi hanno vissuto.

La maledizione dell’isola della Gaiola: le origini

I misteri che avvolgono l’isolotto hanno radici antiche, risalgono ai tempi romani; nel I secolo a.C. tempi in cui sull’isola abitava il liberto Publio Vedio Pollione. Della vita di quest’uomo si sa poco ma sappiamo per certo che fece costruire la sua Villa d’Otium, chiamandola Pausilypon, ovvero «luogo dove cessano gli affanni», e che amasse le murene e le allevasse in vasche appositamente scavate nel tufo e dava loro in pasto i suoi schiavi, quando se ne stancava.

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Accanto all’isola sorgeva un edificio romano quasi del tutto sommerso: «la Scuola di Virgilio», l’isola godeva di aspetti esoterici, dal momento che si dice che il sommo poeta, che era molto appassionato di arti magiche, adorava preparare qui le sue pozioni. Secondo racconti medioevali, questi insegnava ai suoi allievi l’arte della magia, della creazione di pozioni e dell’alchimia.

Stando a quanto riportano le storie tramandate, la Gaiola si ritrovò sotto l’effetto di una terribile maledizione proprio per colpa di uno degli allievi del famoso poeta; la maledizione avrebbe portato, nei secoli successivi sfortuna e in alcuni casi morte a tutti gli abitanti dell’isolotto.

Questa maledizione sarebbe stata così potente da superare il mare e penetrare il suo fondale, macchiandolo per sempre con l’influsso della magia nera. Con la decadenza dell’impero romano la splendida villa fu abbandonata e per secoli non si seppe più nulla.

Nel 1820 cominciarono campagne di scavi promosse dal toscano, appassionato di archeologia, Guglielmo Bechi, che riportò alla luce l’antica dimora di Pollione, scegliendola come residenza. Al tempo fu battezzata «Villa Bechi», ma successivamente prese il nome di tutti i personaggi, più o meno illustri, che acquistarono la proprietà.

Alla morte di Bechi, nel 1871, la figlia la cedette a Luigi De Negri, un uomo d’affari che scelse la villa come sede della sua società di Pescicoltura. In poco tempo la società fallì e dovette dire addio alla sua dimora. Successivamente, fu acquistata dal marchese Del Tufo che nel fare alcuni lavori creò dei danni archeologici inestimabili.

Il XX secolo

Nel 1926 la villa era collegata alla terraferma da una rudimentale teleferica. In una notte di tempesta il cavo si spezzò mentre una signora tedesca, Elena Von Parish, stava rientrando sull’isola. La donna venne rapita dal mare e sparì. Solo dopo diversi giorni il mare restituì il corpo della donna e Hans Praun e Otto Grumbach, che ospitavano la donna alla Gaiola, furono talmente scossi dalla vicenda che si suicidarono: uno subito, e l’altro qualche tempo dopo aver fatto ritorno in Germania. I Posillipini raccontano che nei giorni di tempesta, tra il rumore del mare e la pioggia insistente, si ode forte e chiaro il lamento di Elena.

In breve tempo l’isola venne comunemente riconosciuta come jellata, e gli eventi che seguirono alimentarono ulteriormente questa leggenda. Una barca di scugnizzi marinaretti del collegio Ascarelli-Tropeano fu travolta nel 1931 dalle onde sullo stesso scoglio della Cavallara. Maurice Sandoz, titolare della nota casa farmaceutica, abitò sull’isola nel 1950, ma finì in una clinica psichiatrica dove si suicidò convinto di essere finito in bancarotta.

Qualcuno cercò di cambiare la fama sinistra della villa

Il barone tedesco Paul Karl Langheim nel 1960 fece brillare di vitalità quell’angolo di Posillipo, organizzando feste ed incontri mondani. Ma tutti i suoi sprechi lo mandarono rapidamente sul lastrico.

Fu allora che Giovanni Agnelli acquistò la villa, ma dopo avere subito la perdita di diversi familiari la rivendette rapidamente a un altro miliardario. Paul Getty, magnate del petrolio, entrò in possesso della villa nel 1968. Tutto filò liscio fino al 1973, quando fu rapito il figlio. Nel 1978 l’isola passò a Gianpasquale Grappone, creatore del Loyd Centauro. Finì in galera travolto dai debiti, ed il giorno in cui la villa fu messa all’asta, la moglie Pasqualina Ortomeno morì in un incidente stradale.

La scrittrice ed esperta di fantasmi, Anna Maria Ghedina, chiamata anche «Lady Ghost», ha raccontato di un’altra vicenda, quella degli inglesi coniugi Brown. Non si sa la data precisa, ma pare sia abbastanza recente. La villa fu abitata dai due coniugi e si dice che Mr Brown, tradì sua moglie perché si innamorò della cognata e chiese la separazione.

La moglie, piena di rabbia, in una notte di vento scappò e prese la seggiovia, ma non toccò mai terra. Anche lui rimase vittima dello stesso incidente, ma quando lo trovarono, insieme al corpo senza vita, c’era anche il suo amatissimo gatto. Da allora, chiunque dimori nella villa degli spiriti, diventerebbe, in men che non si dica, oggetto della maledizione, della cattiva sorte e dell’ombra del gatto.

La scoperta nella villa sull’isola della Gaiola

Ma una spiegazione a tutte queste sciagure, per qualcuno, c’è. Ritorniamo agli inizi del ‘900. Nel 1910 la villa fu acquistata dal senatore Giuseppe Paratore. Il suo affezionato nipote, Augusto Segre, trascorreva tutte le estati dallo zio. Un giorno, mentre sistemava una libreria della villa, scoprì una tela anti-umidità, dietro la quale c’era un affresco raffigurante una grande testa terrificante, forse una Gorgone dell’antica Grecia. Lo zio Paratore, convinto che quel volto mostruoso portasse sfortuna, lo fece nascondere dietro una parete di mattoni.

Un membro dell’Istituto del Restauro a Roma, dopo aver esaminato la fotografia scattata da Segre prima che il dipinto fosse murato, lo classificò come risalente al periodo dell’impressionismo tardo romano, databile tra il 2° e il 3° secolo d.C. Pochissime sono le certezze riguardo questo affresco. Ma una cosa va detta: i greci usavano raffigurare la Medusa, la più nota delle «Gorgoni», decapitata per proteggersi dai nemici. Lo spostamento dell’affresco dal significato «protettivo», il suo occultamento, il silenzio della sua esistenza potrebbero spiegare, in qualche modo, la «jella» della Gaiola.

Il Parco sommerso di Gaiola

Il Parco sommerso di Gaiola (ph. Luisa Liccardo)
Il Parco sommerso di Gaiola (ph. Luisa Liccardo)

L’isola, oggi, è di proprietà pubblica e quindi non risulta abitata. Fa parte del Parco sommerso di Gaiola, un’area marina protetta di 42 ettari di mare che circonda le Isole della Gaiola nel golfo di Napoli e che si estende dal Borgo di Marechiaro alla Baia di Trentaremi, istituita congiuntamente dai Ministeri dell’Ambiente e dei Beni Culturali nel 2002. Ogni estate attrae migliaia di napoletani e turisti per un bagno nelle acque cristalline. C’è una spiaggia libera rocciosa: l’ingresso è sempre gratuito ed è consentito anche l’accesso ai cani.

Che porti «jella» o meno, la Gaiola resta un angolo di paradiso della nostra amata terra. Ricca di fascino e accompagnata da un’ombra noir, resta uno dei posti più affollati nei periodi estivi.

Come afferma Liberato nel suo singolo «Gaiola portafortuna»:

«Ma mo nun chiagne cchiù
Te port’ sott’ a luna
Nun rire cchiù
Gaiola portafortuna»

Ribaltando la situazione e trasformando l’isola in un feticcio portafortuna. D’altronde come potrebbe un luogo così magico essere maledetto?

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