Il «sistema Bocchetti» e la gavetta per entrare nel clan

di Enrico Biasi

Il pentito: «Entrare non era facile. La famiglia Bocchetti non si è mai presa un ‘giovane’. Per come si ragionava, le persone dovevano essere poche ma buone»

Cambiano i tempi, mutano gli scenari e la camorra si adegua. I gangli più profondi delle strutture criminali sono stati rivelati soprattutto dai collaboratori di giustizia. Come Carmine Sacco, che raccontò ai magistrati come si sono modificate negli anni le regole di malavita all’interno di clan storici della periferia a nord di Napoli. Fa riferimento, in particolare, al gruppo capeggiato un tempo da Gaetano Bocchetti.

«Le vecchie leve» della camorra influente a Secondigliano. «La famiglia Bocchetti non è come tutte le altre famiglie», spiegò Sacco. «Il punto di riferimento è in via Duca degli Abruzzi – racconta in uno dei suoi verbali – Tutti gli affiliati stanno là. Non sono assegnati compiti nel clan Bocchetti, ognuno può fare quello che vuole». Un’autonomia conquistata dopo anni di fedeltà al boss, un’autonomia che vuol dire anche totale obbedienza al capo. «Perché – precisa il collaboratore di giustizia – ogni affiliato sta a disposizione del clan e qualsiasi cosa c’è da fare la si fa senza esitazione».

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La storia più antica della mala di Secondigliano

Carmine Sacco svelò ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia segreti e retroscena della storia più antica della mala di Secondigliano. Tornò indietro nel tempo a quando suo padre si unì al clan, raccontò i suoi ricordi di adolescente, di quando trascorreva l’estate nei rifugi dei boss latitanti o di quando intuiva che c’era stato un omicidio perché vedeva gli affiliati stappare bottiglie di champagne. Sacco spiegò anche che far parte del gruppo non era cosa semplice. «Entrare non era facile. La famiglia Bocchetti non si è mai presa un ‘giovane’. Per come si ragionava, le persone dovevano essere poche ma buone e per entrare dovevano fare la gavetta vera in quella famiglia».

Sacco svelò la severa selezione che il boss faceva per scegliere i suoi affiliati e chiarisce che del clan Bocchetti hanno fatto parte, per diversi anni, appena una decina di affiliati fedelissimi e di cui il capo aveva testato le capacità camorristiche. «Solo con la scissione dai Licciardi ad opera di Gennaro Sacco – sostiene il pentito – quest’ultimo ha cominciato a circondarsi anche di affiliati più giovani che non erano stati messi alla prova a lungo».

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I Sacco-Bocchetti

I Bocchetti divennero Sacco-Bocchetti dal 2006, momento in cui Gennaro Sacco ne assunse la leadership e iniziò una guerra con i Licciardi con l’omicidio di Carmine Grimaldi, referente della famiglia della Masseria Cardone e luogotenente di Vincenzo Licciardi sulle piazze di spaccio nel quartiere di San Pietro a Patierno, contrasto chiuso con una accettazione da parte dei Licciardi dell’autonomia dei Sacco-Bocchetti. Poi dalla gestione Sacco si è passati ai ‘mal di pancia’, ai malumori, alle critiche.

La ‘famiglia’ Bocchetti non apprezzava lo spostamento dell’asse. Le intercettazioni raccontarono i malumori di vertici e gregari del clan. I Bocchetti avevano riconosciuto a Sacco padre un ruolo apicale nell’organizzazione criminale. Gennaro Sacco però aveva cominciato ad abbandonare la tradizionale vicinanza del clan alle famiglie Contini-Mallardo-Licciardi, legandosi sempre più ai Lo Russo e agli scissionisti. Alleanze tra clan determinate dalle scelte del boss Gennaro Sacco. Troppe erano le lamentele per la gestione dei soldi derivati dal traffico di droga attuata dal figlio Carmine.

L’omicidio

Per questo, il 24 novembre 2009, su mandato dei boss, i due Sacco furono uccisi a San Pietro a Patierno in via Masseria, all’angolo con via Gagarin: due sicari in moto che spararono e che uccisero padre e figlio con un colpo alla testa. Fu questo lo scenario ricostruito un mese dopo quel duplice delitto dagli uomini della squadra mobile di Napoli, allora guidata da Vittorio Pisani, attuale capo della polizia, che eseguirono all’alba 11 arresti nell’ambito di un decreto di fermo emesso dai pm della Direzione distrettuale antimafia partenopea.

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