Migranti, Giorgia Meloni: «Storture nei decreti flussi, dati allarmanti»

di Antonella Di Martino

La premier ha consegnato un esposto al Procuratore nazionale antimafia

Flussi d’ingresso legali usati come «ulteriore canale di immigrazione irregolare», con lo spettro di una regia della criminalità organizzata. Dal monitoraggio sugli ultimi due anni, sono emersi «dati allarmanti» in «alcune regioni, su tutte la Campania», secondo lo scenario illustrato da Giorgia Meloni in Consiglio dei ministri, dopo aver consegnato un esposto al Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo sull’applicazione degli ultimi decreti flussi.

E la mossa è stata accompagnata dalla rivendicazione dell’abbattimento «del 60% degli arrivi illegali rispetto allo stesso periodo del 2023». Un risultato, «possibile soprattutto grazie ai rapporti di collaborazione con i Paesi del Nord Africa, Tunisia e Libia in testa», ha sottolineato la premier, convinta che un effetto «deterrenza» lo produrrà anche l’accordo con l’Albania per la realizzazione dei due centri, dove si recherà per verificare lo stato dei lavori assieme al primo ministro Edi Rama. Il Viminale calcola 21.574 migranti sbarcati finora da gennaio, contro i 51.628 dei primi cinque mesi dell’anno scorso.

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Ma è su un altro fenomeno che la presidente del Consiglio mette ora il focus: le storture e le possibili ingerenze mafiose nel sistema di ingresso in Italia per motivi di lavoro, anche stagionale, nell’ambito delle quote stabilite nei Dpcm emanati periodicamente. Il governo Meloni a fine 2022 ha varato un decreto per 82.705 persone in un anno, e poi nel 2023 ha reso triennale la programmazione della quota fissandola a 452mila persone, ampliando categorie professionali e settori produttivi. Il primo monitoraggio, spiegano fonti di governo, ha fatto emergere una macchina ormai in enorme difficolta.

Nonché il forte sospetto di «frodi» legate anche alle «infiltrazioni della criminalità organizzata», su cui Meloni ha annunciato interventi «amministrativi e normativi» da varare in un Consiglio dei ministri dopo il G7.

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La modifica della legge Bossi-Fini

E si profila una modifica della legge Bossi-Fini già prospettata qualche mese fa dal sottosegretario Alfredo Mantovano. Alla luce dell’esposto, la Procura antimafia potrà attivare le Procure distrettuali, secondo le sue funzioni «di impulso e coordinamento di indagini». Per ora il quadro dipinto dalla premier è quello di «un numero di domande di nulla osta al lavoro per extracomunitari, durante il click day, totalmente sproporzionato rispetto al numero dei potenziali datori di lavoro, siano essi singoli o imprese».

Il clickday 2022

Al clickday del decreto flussi 2022, il maggior numero di istanze arrivò dalla Campania, 109.716, cinque volte tanto quelle di Lazio e Veneto. L’attacco, però, è esteso anche ai governi precedenti. «È ragionevole ritenere che le stesse degenerazioni si trascinassero da anni e mi stupisce che nessuno se ne sia reso conto», ha sottolineato la premier, annunciando che l’esecutivo modificherà «i tratti operativi che hanno portato a queste storture, e lo faremo nel rispetto del principio che ispirò la legge Bossi-Fini che ha regolamentato il fenomeno in questi anni: cioè consentire l’ingresso in Italia solo a chi è titolare di un contratto di lavoro».

In particolare, spiegano in ambienti di governo, è considerato «gravissimo» il «cortocircuito creatosi nell’ultimo decennio» nel sistema dei nullaosta per i visti e la stipula dei contratti: gli uffici dello Sportello unico immigrazione non riescono a stare dietro ai tempi per i pareri, 20 giorni per i lavoratori stagionali, 60 per gli altri, con il risultato che scatta quasi sempre il meccanismo silenzio-assenso. E il caos ha riflessi anche sull’attività delle ambasciate italiane all’estero, che non riescono a verificare i requisiti per i visti.

Spesso, ed è un altro fenomeno verificato nel monitoraggio, saltano anche le verifiche su chi arriva con un visto e non si presenta allo sportello unico immigrazione entro 8 giorni con il datore di lavoro per depositare il contratto. L’allarme del governo è diventato un input anche ai magistrati della Dna. E il Pd ritiene opportuno che Meloni e Melillo siano ascoltati dalla Commissione parlamentare antimafia. Una richiesta che, se formalizzata, sarà valutata il 12 giugno dall’ufficio di presidenza della commissione stessa.

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