Delitto di Senago, Impagnatiello: «Colpii Giulia all’altezza del collo. Ma non so con quante volte»

di Marika Aiello

Processo per la morte di Giulia Tramontano, l’ex barman è stato ascoltato per circa 5 ore

Lucido, con una risposta ad ogni domanda nonostante le stridenti contraddizioni con gli esiti di accertamenti scientifici e istruttori. Alessandro Impagnatiello ha parlato per circa cinque ore senza un minimo cedimento, nemmeno quando ha ricostruito la dinamica di come ha ucciso, un anno fa, Giulia Tramontano, la sua fidanzata in attesa di un bimbo a cui «volevo fare del male», la cui nascita avrebbe potuto cancellare la loro vita di coppia.

L’ha accoltellata nel salotto del loro appartamento di Senago, e per tre volte ha cercato far «cenere» del suo corpo, poi gettato tra le sterpaglie non molto lontano da dove vivevano. Prima ancora di cominciare l’interrogatorio, l’ex barman ha esordito parlando di sé e di come un anno di carcere lo ha cambiato. «La persona che ero in quel periodo non è quella di oggi. – ha detto – Questo processo mi sta aiutando a mettere a posto dei punti che avevo sparsi, dei tasselli confusi. Ora posso parlare della reale verità». E ancora: «avevo costruito un castello di bugie in cui sono annegato».

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Con questa premessa, il 31enne, ha offerto la sua ricostruzione alla Corte d’Assise di Milano ai parenti, alla mamma di Giulia, in seconda fila con davanti agli occhi la foto della figlia, e a una folla di persone assiepate nella maxi aula del Palazzo di Giustizia.

Il rapporto con Giulia e la collega

Una ricostruzione che è cominciata dal rapporto difficile tra lui e Giulia e che è passata a quello parallelo con una giovane collega che, smentendo messaggi e audio da lui inviati, ha ridotto quasi a una «frequentazione» nei ritagli di tempo.

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Una relazione che ha trasformato in una storia di poco conto ma per lui pericolosa: qualora fosse stata scoperta al lavoro avrebbe potuto «far crollare la mia immagine». Ed è per questo che ha dato picche alla proposta di Giulia e dell’altra, dopo che si erano incontrate, parlate, abbracciate, rendendosi conto di essere state entrambe ingannate, di un appuntamento chiarificatore proprio lì davanti all’Armani cafè. «Sarei stato umiliato e distrutto davanti ai colleghi. Era una cosa che non riuscivo a sopportare», ha proseguito.

Così ha cercato di rinviare al giorno dopo ed è rincasato a metà pomeriggio: «nella mia testa si è creata una spaccatura tale che non capivo più nulla. Giravo per casa, sono uscito, vagavo attorno all’abitazione, fumavo cannabinoide, cercavo di mangiare ma non sono riuscito, mi sono fatto una doccia». Un paio di ore dopo è rientrata Giulia. Nessuna discussione accesa, un dialogo freddo, distaccato. Con lei che gli aveva di nuovo annunciato che voleva tornare dai suoi, a Napoli, e che non «avrei più visto il bimbo. Ha distrutto ogni appiglio a cui potevo aggrapparmi».

L’omicidio

Erano circa le 19.45, «stava preparando qualcosa per sé quando sentii un piccolo lamento, si era fatta male a un dito. Di fronte al divano, c’è un mobile con un cassetto in basso con dentro i medicinali ed anche cerotti. Le chiesi cosa fosse successo, ma non mi rispose. Lo chiesi di nuovo e continuava a non rispondermi. Come se non esistessi. Ero totalmente invisibile ai suoi occhi. Mi ignorava».

«Mentre lei era abbassata» per cercare nel sacchetto dei farmaci «vado verso la cucina, – ha proseguito – vedo che c’era questo coltello con cui stava tagliando delle verdure, mi sono piazzato immobile alle sue spalle, in attesa che si rialzasse per tornare in cucina. La colpii, all’altezza del collo. Ma non so con quanti colpi, è una informazione che non ho mai avuto. L’ho saputo dalla tv».

Dopo di che i dettagli del corpo che ha cercato di bruciare, ha trascinato fino al box e dal box alla cantina, nella speranza «di essere visto da qualcuno dei vicini» in modo da essere «fermato» e che poi ha gettato in un anfratto (è andato a pranzo dalla madre con il cadavere «nel bagagliaio), le bugie alla «altra» che lo chiamava per avere notizie di Giulia, i finti messaggi inviati a chi la cercava.

«Una parte di me sapeva dove fosse, – è andato avanti – ma l’altra parte la cercava e non credeva a quella realtà, ero io che attendevo che il telefono squillasse per trovarla. La falsità dell’allontanamento volontario l’ho portata avanti per tanto tempo, non solo con gli altri, ma anche a me stesso. La domanda sul perché l’ho fatto non avrà mai una risposta».

Le ricerche sul web

Infine, nel tentativo forse di far cadere l’aggravante della premeditazione, le molte contraddizioni rispetto agli esiti delle indagini e degli accertamenti scientifici e le giustificazioni che stridono con le sue ricerche sul web e con i tempi. Ha ripetuto di averle somministrato «il veleno per topi nella prima metà di maggio, in due occasioni, mentre dormiva. Non volevo farle del male, ma volevo procurare un aborto». E che, tra l’altro, il «cloroformio» e i suoi effetti cercati nei mesi precedenti su internet gli sarebbe servito in realtà per incollare le lastre di plexiglass dell’«acquario per le meduse» che era un suo «sogno» e che avrebbe tanto voluto. Infine «cercavo anche bombe carta, e non le ho lanciate».

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