Fratelli d’Italia non è nato per essere uno dei tanti partitini
Prima di parlare del voto in Sardegna, ritengo necessario fare alcune considerazioni per cercare di capire, oltre alle cause della sconfitta, anche il perché di certi comportamenti, decisioni e scelte (che a quella sconfitta possono essere collegabili) riguardanti esponenti di Fratelli d’Italia (di ogni livello e latitudine) eccepibili sul piano della correttezza e della coerenza rispetto alla genesi e alla storia del partito.
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Dalla sua nascita ad oggi infatti, ho avuto spesso la sensazione che non pochi dei citati esponenti non si stessero rendendo conto della svolta che, grazie a Giorgia Meloni c’era stata in Italia, una svolta che, secondo illustri opinionisti, italiani e stranieri, sarebbe passata alla Storia come la più grande novità del secolo, la più geniale e felice intuizione, che non aveva come obiettivo quello di dar vita ad un nuovo partitino che sarebbe andato ad affollare il caotico mercato della partitocrazia italiana, ma derivava da un forte anelito di riscatto della nostra Nazione, con la sua meravigliosa storia, con il suo immenso patrimonio culturale, ideale e morale e con il suo ineguagliabile Pantheon, ricco di esempi e di insegnamenti.
Era il sogno inseguito per anni da Almirante e da Tatarella che, grazie alla tenacia di quella donna eccezionale si traduceva in realtà: il grande partito degli Italiani. Era il miracolo di Giorgia Meloni che, in pochi anni, era riuscita ad attraversare il deserto con una pattuglietta che era andata, via via crescendo, fino a diventare la più importante forza di Destra della Storia dell’Italia repubblicana.
Non è un dono calato dal cielo
Ma il miracolo, soprattutto in politica, non può essere considerato come un dono calato dal cielo, i cui effetti benefici ricadono, a tempo indeterminato, su destinatari senza che questi facciano alcunché per meritarseli. Il primo partito d’Italia non può continuare ad essere organizzato e guidato nelle varie regioni e province, come quando la sua forza elettorale non superava il 3 – 4%. Né la sua classe dirigente, di vertice e di periferia, può sentirsi sempre libera di scaricare ogni fardello sulle spalle della leader che, pur essendo una donna assai speciale, deve, tuttavia, obbedire ai limiti imposti dalla natura.
Lei deve far tutto, pensare a tutto, occuparsi e preoccuparsi di tutto anche, ed è la prova più difficile e fastidiosa da affrontare, affannarsi a trovare il tempo per riparare pasticci e danni che subisce in casa e non per l’intemperanza di militanti esagitati, né per l’inesperienza di qualche improvvido consigliere di piccolo comune, ma per l’insipienza e la presunzione di alcuni di quei beneficiari del «miracolo Meloni», il cui ruolo ricoperto viene sovente scambiato come diritto di esercitare il potere assoluto per dire, fare e decidere tutto, senza dovere dar conto a nessuno, meno che mai ai dirigenti e ai militanti dei circoli della propria provincia, neanche quando è richiesto il loro parere per accogliere o respingere richieste di nuove adesioni.
La dovuta accortezza
Così accade che, dove Fratelli d’Italia è retta da persona diligente, che opera in sintonia con gli esponenti delle varie realtà locali, con pragmatismo, lungimiranza, buon senso e nel pieno rispetto delle regole, dello Statuto, del codice etico del partito e, se decide di aprire le sue porte, lo fa con la dovuta accortezza e solo per consentirne l’accesso a donne e uomini di specchiata moralità, a giovani pieni di entusiasmo, ai rappresentanti della società civile e dell’associazionismo, disposti a dare il loro prezioso contributo di conoscenze e di idee, o, anche a chi proviene da altre esperienze politiche che ha obiettivi e ideali comuni, con notevoli vantaggi sul piano politico, sociale, culturale e del consenso.
Dove, invece, per imprevidenza sciatteria o ingiustificato interesse personale di chi ha il potere decisionale, viene consentita, se non addirittura programmata l’apertura indiscriminata di Fratelli d’Italia a tutti, compresi i faccendieri, i maneggioni, i mestieranti, i turisti e i pendolari della politica, non è difficile scoprire che a guidare i circoli e ad occuparsi della formazione delle liste elettorali siano individui con pochi scrupoli e molte pretese che, pur non avendo assolutamente nulla a che fare con la storia, i valori e il programma del Partito, spesso con la compiacenza, se non addirittura con l’evidente complicità di alcuni suoi «notabili», preoccupati più che di svolgere correttamente il proprio ruolo, di consolidare la rete di vassalli, valvassori e valvassini da usare come sentinelle e custodi dei propri feudi, stanno creando scompiglio ovunque, compromettendo la compattezza del partito che ha cominciato a subire danni di immagine e di credibilità.
Il caso Sardegna e gli altri
E, gli effetti negativi di quei danni si erano fatti già sentire nei mesi passati in diversi comuni (anche capoluoghi di provincia) dove le elezioni amministrative erano andate male o malissimo, senza che alcuno avesse mai dato spiegazioni o conto del fallimento.
Oggi è salito alla ribalta il caso Sardegna e se ne discute perché per la prima volta, da quando il centrodestra governa il Paese, i partiti di opposizione hanno conosciuto una vittoria di risonanza nazionale, recuperando un po’ di ossigeno per la loro sopravvivenza e, come era prevedibile, cercano di enfatizzarla per convincere gli Italiani che l’aria sta cambiando e la Meloni e il suo governo cominciano a perdere consensi.
Ora, al di là di qualche trionfalismo, la cui ostentazione, ancorché esagerata, ha sempre fatto parte della liturgia spettacolare di chi vince qualsiasi competizione e di cui non ci si deve scandalizzare, il dato certo e reale è quello che riguarda la sconfitta del centrodestra. Si tratta di avvenimento che non può passare sotto silenzio, essere sottovalutato o, peggio liquidato, usando argomenti fumosi del vecchio politichese che non ingannano più nessuno.
Bisogna parlare chiaro e franco con gli alleati e soprattutto con gli elettori e i simpatizzanti di Fratelli d’Italia, anche quelli che, per reazione non hanno votato per il candidato alla presidenza. Si era trattato di una «punizione» annunciata, tanto che, ancor prima di conoscere il verdetto ufficiale delle urne, in Sardegna e non solo, si sapeva come sarebbero andate a finire quelle elezioni. Erano noti a tutti – e assai disapprovati da elettori e simpatizzanti del centrodestra, specialmente di Fratelli d’Italia – i criteri adottati per la scelta, oltre che del candidato alla presidenza anche di quelli da inserire nella lista di Fratelli d’Italia e di quelli che sarebbero stati messi fuori.
Un’analisi serie e coraggiosa
E oggi, che sono trascorsi più di quindici giorni, senza cedere alla tentazione della «resa dei conti», un’analisi serie e coraggiosa bisogna farla per trarre insegnamento dagli errori, per non ripeterne in futuro e per evitare che gli artefici di quegli errori ( o colpi di mano?) continuino indisturbati a spadroneggiare.
Occorre agire con saggezza e onestà intellettuale, magari chiedendo scusa a chi ha subito torti e ingiustizie, come è successo – un esempio per tutti – all’Avv. Enrica Anedda ( figlia del grande e mai dimenticato Gianfranco e nipote del famosissimo avvocato Enrich che furono protagonisti di primo piano nella storia della destra, a partire dal MSI ed oggi riposano a pieno titolo in quel Pantheon di cui ho parlato innanzi ) affermata professionista e consigliera comunale di Cagliari, tra i più suffragati, alla quale fu comunicato solo tre ore prima che scadesse il termine per la presentazione della lista di esserne stata esclusa, senza motivo e senza spiegazione.
I segnali che arrivano fanno ben sperare, come è dato pensare, dopo aver letto le dichiarazioni rese dall’On. Donzelli, nel corso dell’intervista rilasciata alla dott.ssa Paola Di Caro del Corriere della Sera, soprattutto quando sostiene : «disponibilità a decidere insieme agli alleati i candidati migliori» e « la fiducia che dimostrano i cittadini dobbiamo usarla bene e non fare più errori perché non vengono perdonati». Se si farà veramente come dice il «massimo dirigente» di Fratelli d’Italia, la sconfitta subita in Sardegna potrà essere considerata un incidente di percorso da non sottovalutare e neppure drammatizzare.
Paffete
Ho voluto iniziare questa mia modesta analisi del voto sardo con una interiezione: «Paffete» e ad essa e ai suoi significati mi rifaccio per concluderla, con l’auspicio che chi ha titolo e mandato per decidere, si assuma l’onere di fare le opportune valutazioni circa l’intensità del colpo ricevuto, per stabilire se si tratti di «buffetto», «schiaffo»… o di altro e prendere i necessari e più appropriati provvedimenti con determinazione e tempestività. Diversamente, quel «Paffete» si riferirà al suo secondo significato, quello del «rumore del tonfo», che è drammaticamente chiaro e trovare un rimedio è assai difficile.