Riformare la Giustizia, una necessità per recuperare in termini di credibilità

di Rino Nania

«Io parlo di giustizia, e si intende sempre la giustizia del tribunale. Benissimo, la vuoi ottenere anche dai tribunali … Ma non basta la questione della giustizia per me è una cosa più ampia … Avere giustizia è che tutti sappiano la verità» (Licia Rognoni Pinelli)

Nelle vicende pubbliche italiane albergano misteri infiniti di difficile soluzione. E l’affare dei nostri giorni, che vede la magistratura preda di abominii, è uno di questi. Nell’attuale frangente la giurisdizione, quale ordine di caratura costituzionale, risulta essere passibile di definitiva abiura. La sfiducia latente è divenuta montante.

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I fatti riconducibili alle decisioni orientate politicamente appaiono terribili e nefasti per uno Stato di Diritto così indecorosamente squassato. Sia per quanto riguarda la copertura dei ruoli apicali all’interno dell’organo nei vari tribunali distribuiti sul territorio nazionale a seconda delle convenienze correntizie, sia per quanto concerne le preordinate sentenze di condanna come ad esempio quelle su Berlusconi, il diritto diviene strumento politico o/e pistola ancora fumante, servita per eliminare il proprio nemico politico e salvaguardare gli amici di turno.

In questo quadro, il malefico artificio del potere diviene alimento per diffondere la venefica e maleodorante aria che toglie il respiro, che mette paura, che rende le istituzioni preda delle mafie di palazzo e delle lobby oscure. Si scorge un Leviatano che rende la scena mostruosa. Qui non vi è solo Palamara, ma tutto il sistema subisce distorsioni, giacchè appare intriso di compromissioni nefaste che oltraggiano la buona fede di quanti ancora vogliono in qualche maniera riporre fiducia nelle istituzioni.

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Ma la realtà, seppur liquida e frastagliata, non permette di indugiare ancora a lungo se non si vuole terremotare quel terreno in cui i gangli e le dinamiche vanno ricollocate nell’alveo di regole del gioco puntuali, ove si escludano i conflitti di interessi specifici e personali, che servano a premiare il rigore e la serietà della giurisdizione e che soprattutto non rendano l’operato dei magistrati opinabile nel fare e nell’amministrare giustizia.

Ecco che la via maestra, inevitabilmente, è quella che conduce alla divisione delle carriere, alla necessità di obbligare i magistrati inquirenti (Pubblici ministeri) a rendere il processo penale effettivamente paritario tra difesa e accusa, affinché si renda giustizia nell’auspicata affermazione delle ragioni del dubbio, provando a ricompensare quanti intendano esaltare l’onestà, senza indulgere nel traccheggio.

È questa la necessaria messa in sicurezza del sistema che non può perpetuare nell’esercizio di prerogative, che nulla ha che vedere con le regole proprie della giurisdizione, nell’equilibrato esercizio delle tutele. Questa è l’unica ipotesi oggi possibile e praticabile, affinché si eviti che la solida e concreta realtà istituzionale si popoli fuori misura di fantasmi, che inducono alla diffidenza nel ritessere la trama istituzionale. Se è giusto pensare che la Giustizia non è una virtù estetica, ma deve ritenersi e rappresentare il reale senso del bisogno di giustizia, dove la legge è giustizia che si rende necessaria, tuttavia questo deve tradursi in imparziale applicazione della norma.

Dove si racchiude la necessità di verità, come dice Emanuele Severino, e non di verità distorta, dove la riforma sta al diritto come momento di svolta, mediante la quale si affermi «la verità del destino» non certo quella buona o bella, ma quella capace di costruire la sintesi tra libertà e necessità, tra dolore e la gioia, la politica e la fiducia per essa.
Solo così sarà possibile rendere giustizia alla vita di ciascuno.

Ed anche in questo lavorio va incluso quel senso del limite di cui deve alimentarsi la magistratura, che per evitare di divenire ipertrofica nel suo io, ha necessità di non ridursi a cupa e cieca volontà, ma strumento utile per tornare al buon senso delle cose ed alla buona amministrazione del diritto, senza che le vertigini del potere possano mai ovviare a vuoti morali o dare l’immaginazione a chi non sa che farsene. Riformare la giustizia oggi è una necessità perché si possa recuperare in termini di credibilità in tutte le relazioni umane ed istituzionali ed eliminare la dolosa distinzione tra carnefici e vittime.

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