Elezione diretta del premier, la memoria corta della sinistra

Il diritto degli italiani di scegliere da chi farsi governare, Craxi la definì come la «grande riforma»

In principio vi fu il presidenzialismo in cima ai pensieri della destra italiana che si riconosceva nel Movimento Sociale Italiano: l’elezione diretta del presidente della Repubblica è stata la riforma costituzionale più invocata e promessa agli italiani in ogni campagna elettorale finché non si giunse a più miti consigli dopo avere assunto responsabilità di governo.

Naturalmente i partiti del cosiddetto arco costituzionale ne avversavano l’idea temendo il ritorno del fascismo, dell’uomo solo al comando, della fine della democrazia e l’arrivo delle sciagure bibliche delle sette piaghe d’Egitto.

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In realtà, il leader storico del MSI, Giorgio Almirante, era tutt’altro che un aspirante dittatore, ma vedeva che la democrazia, che presuppone che la sovranità appartenga al popolo, si era trasformata in partitocrazia, un regime che aveva consegnato la sovranità ai partiti, alle fazioni politiche che, per la loro eterogeneità e rissosità non erano in grado di garantire governi stabili e credibili. Pensava quindi di superare il mal funzionamento delle istituzioni attraverso il coinvolgimento popolare nella elezione del più alto rappresentante dello Stato.

L’intervista ad Almirante

In una intervista televisiva del 1983 condotta da Enzo Biagi, facilmente rintracciabile su Youtube, Almirante ha riassunto in maniera magistrale il progetto del MSI: «Per assicurare stabilità politica occorre che il capo del governo non sia tratto fuori dal forcipe della partitocrazia ma venga nominato direttamente dal presidente della Repubblica. E perché quest’ultimo possa farlo occorre che a sua volta non sia servo della partitocrazia ma venga eletto direttamente dal popolo. Ecco i lineamenti di una Repubblica presidenziale moderna».

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Come si può vedere, non si tratta di una proposta eversiva ma, a ben vedere, riconosce la piena sovranità popolare sancita al primo articolo della nostra Costituzione e la estende alla elezione del Capo dello Stato, al quale rimane riconosciuta la prerogativa di nominare il Presidente del Consiglio (art. 92 Cost.), ma in forza di una investitura popolare e non assembleare (parlamentari più delegazioni regionali ex art.83).

L’Assemblea Costituente

Persino nell’Assemblea Costituente, attraversata da una sicura avversione verso il fascismo ed ogni forma di dittatura, si sviluppò un dibattito che vide non pochi fautori dell’elezione diretta del Capo dello Stato o del premier.

Il più noto tra questi è sicuramente Piero Calamandrei, capogruppo in Assemblea del Partito d’Azione. Ma fautori del presidenzialismo vi furono un po’ in tutti i partiti. Qualche esempio. Il comunista Umberto Nobile, per superare le osservazioni di chi riteneva che l’elezione diretta avrebbe dato poteri eccessivi al presidente eletto dal popolo, proponeva di istituire un Consiglio Supremo della Repubblica nominato dal Parlamento da affiancare al Presidente della Repubblica per riequilibrarne il potere.

Ottavio Mastrojanni, siciliano di Nicosia (EN) del Fronte dell’Uomo Qualunque, auspicava la «elezione del primo cittadino dello Stato», espressione che ricorda lo slogan oggi di attualità: «il sindaco d’Italia». Il socialista Giuseppe Saragat, che diventerà il quinto Presidente della Repubblica nel 1964, chiedeva l’elezione popolare del Capo dello Stato per superare l’eccessiva pluralità dei partiti che avrebbero portato «un disordinato fluire, ed un eterno contrasto» senza raggiungere «qualcosa di solido e di fermo su cui condurre una politica durevole». Le sue parole si riveleranno profetiche.

Di esempi se ne potrebbero fare tanti altri per smentire i luoghi comuni sui «padri costituenti» e sul loro «complesso del tiranno», che alla fine prevalse nella stesura del testo costituzionale e che ritorna ogniqualvolta si tenti di dare più stabilità ai governi.

La riforma presidenziale

Oggi ci troviamo di fronte alla proposta del governo Meloni di una riforma presidenziale che, partita sul solco almirantiano, è approdata ad una forma più morbida, che prevede che sia il Presidente del Consiglio ad essere eletto dal popolo, lasciando al Presidente della Repubblica il ruolo di garante delle istituzioni.

Dal fronte delle sinistre, sin dal primo momento, si sono alzate alte grida di dolore per il rischio dittatura e non pochi costituzionalisti, tra i quali anche ex presidente della Corte Costituzionale, si stanno stracciando le vesti nel tentativo di dare dignità «scientifica» alle argomentazioni contro la riforma costituzionale del centrodestra.

Proposte anche da sinistra

Purtroppo la memoria corta gioca brutti scherzi ed impedisce di vedere che anche da sinistra, negli anni passati, sono venute proposte di riforma in senso presidenziale. Bettino Craxi, storico capo del Partito Socialista Italiano (PSI) ipotizzò l’elezione diretta del Presidente del Consiglio e la chiamò «La grande riforma». Achille Occhetto, dopo avere traghettato il Partito Comunista verso il Partito Democratico della Sinistra (PdS) ed essersi impegnato per l’elezione diretta dei sindaci, pensò che la stessa cosa si potesse fare per il governo centrale eleggendo direttamente «il sindaco d’Italia».

Agli smemorati occorre ricordare anche che l’Ulivo, alleanza di centro-sinistra nata nel 1995, e poi il Partito democratico (Pd) nato dalla fusione tra gli eredi della vecchia democrazia Cristiana, del Partito Comunista e di altre formazioni di centrosinistra, si resero fautori dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio.

Ma non serve ripercorrere punto per punto gli slanci presidenzialisti che hanno caratterizzato molti esponenti di sinistra ed anche governi di centro sinistra, in particolare dopo l’avvento della seconda repubblica e la nascita di una sorta di bipolarismo a costituzione vigente grazie al referendum Segni del 1993 e ad una geniale intuizione di Silvio Berlusconi che riuscì a creare un fronte comune di centrodestra per bloccare l’ascesa al potere del Partito comunista.

Non c’è più sordo di chi non vuol sentire

Come si sa, non c’è più sordo di chi non vuol sentire e, come giustamente ha osservato il costituzionalista messinese prof. Michele Ainis, che certamente non può essere accusato di simpatie fasciste o meloniane, «le riforme degli altri sono sempre cattive riforme».

Ecco perché la segretaria del Pd, Elly Sclein, parla di «riforma pericolosa», perché si tratta di una riforma che non proviene dal suo schieramento. E teme «l’uomo solo al comando», ma teme ancor di più «la donna sola al comando», pensando di non potere scalzare Giorgia Meloni dopo una sua elezione diretta, per volontà del popolo e non per grazia ricevuta. Alla faccia della sovranità popolare e del diritto sacrosanto degli elettori italiani di scegliere (loro e non altri) da chi farsi governare.

Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali

Setaro

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