Rifiuti e clan, sequestrato l’impero dell’imprenditore Antonio D’Amico

di Antonella Di Martino

Indagini anche sulla discarica di Chiaiano

I suoi rapporti stretti con i fratelli Carandente Tartaglia, i legami con esponenti dei clan Mallardo e Zagaria, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e l’emergenza rifiuti. C’è tutto questo tra i motivi che hanno spinto Procura di Napoli e Dia a chiedere il sequestro dell’impero di Antonio D’Amico, 78enne imprenditore con interessi nel settore rifiuti, trasporti ed edilizia.

Un patrimonio da 55 milioni di euro, tra le quattro società di famiglia e i conti correnti, finito sotto sigilli stamattina, in esecuzione di un provvedimento richiesto a chiusura di indagini patrimoniali della Direzione Investigativa Antimafia di Napoli, guidata dal capocentro Claudio De Salvo, ed emesso dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

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La discarica di Chiaiano

La realizzazione della discarica di Chiaiano durante l’emergenza rifiuti sarebbe una delle contestazioni principali mosse a D’Amico, che avrebbe garantito il subappalto anche per la gestione alle ditte di Giuseppe Carandente Tartaglia, condannato nel 2021 a 7 anni di reclusione per concorso esterno alla camorra, ritenuto «esponente imprenditoriale di rilievo del clan Zagaria, consentendo al gruppo camorristico il conseguimento di ingenti profitti ed il rafforzamento del proprio controllo criminale nello strategico settore della gestione dei rifiuti in Campania».

Conosciuto come «don Antonio della Ibi» dai collaboratori di giustizia Gaetano Vassallo e Giuliano Pirozzi, per i suoi rapporti con le famiglie di camorra Mallardo e Zagaria, D’Amico sarebbe stato «aggiudicatario di tutti i grossi appalti per la realizzazione e gestione delle discariche nella regione Campania e soprattutto del Napoletano».

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Su Chiaiano in particolare, sarebbe stata «creata una vera e propria discarica abusiva» gestendo, nel tempo, «un ingente traffico di rifiuti generato da qualsiasi lavoro ottenuto in appalto dall’impresa dei Carandente Tartaglia», permettendo loro «guadagni e profitti illeciti, riuscendo anche ad eludere qualsiasi norma fiscale, gestendo la documentazione di trasporto in maniera del tutto illecita, in modo da poter evadere sistematicamente le dovute imposte sul valore aggiunto». A D’Amico è contestato anche l’acquisto di terreni e cave da destinare a discariche o siti di stoccaggio di ecoballe per favorire gli interessi della camorra. Il tutto in piena emergenza rifiuti.

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