Per il Centrosinistra incubo 5 a 1. Per il Centrodestra tensione su liste pulite e Autonomia

di Dario Caselli

Complice l’epidemia di Covid-19 queste elezioni regionali stanno passando quasi in sordina. E’ vero che il quadro delle alleanze e delle candidature soltanto da qualche giorno si è definito, e che per la presentazione delle liste bisognerà attendere fino a metà agosto, però è evidente che il clima non sembra ancora da campagna elettorale.

L’impressione è come se il lungo lockdown, gli appelli alla Nazione via streaming e l’attività di governo fatta a colpi di Dpcm abbiano creato un clima di assuefazione, dimenticando quali sono i riti della democrazia e le sue liturgie. Appunto le elezioni, la scelta da parte dei cittadini da chi essere governati, la campagna elettorale stessa.

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E invece queste elezioni tradiscono un significato importante. A partire dal fatto che saranno ben 6 le Regioni interessate dal voto e distribuite in maniera equa sul territorio nazionale: due al Nord, due al Centro e due al Sud. Senza considerare poi le amministrazioni comunali che andranno al voto.

Il quadro è quindi quello di un’elezione significativa e del cui risultato difficilmente si potrà fare spallucce. E anche se è vero che nel nostro Paese elezioni di mid-term, come quelle degli Stati Uniti, non esistono è evidente che dopo il 21 non si potrà far finta di nulla.

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Centrosinistra sembra prestare minore attenzione a queste regionali

E questo vale soprattutto per il governo anche se proprio il Centrosinistra sembra prestare minore attenzione, quasi come se fosse presa da una sorta di svogliatezza.

E gli occhi sono in particolare puntati verso il Partito Democratico che sembra essere arrivato in ritardo a questo appuntamento elettorale, forse con la testa ancora ai problemi legati al ritorno alla normalità e soprattutto all’avvio della Fase3.

E’ noto che proprio da largo del Nazareno si siano levate le prime critiche alla gestione della Fase2 del premier e della necessità di una svolta, di un cambio di passo mettendo da parte gli annunci e impegnandosi nel garantire al più presto le risorse alle famiglie e alle imprese.

Questo, ma anche probabilmente una certa sottovalutazione di quali conseguenze potrebbe avere il voto regionale. Immaginarsi, infatti, se il Centrosinistra risultasse sconfitto in ben 5 regioni. Il peso, anche visivo, del 5 a 1 sarebbe difficilmente sostenibile. Senza contare che in questo modo sarebbero ben 3 le Regioni perse.

Zingaretti responsabile del mancato accordo nel Centrosinistra

Zingaretti

Come detto sul banco degli imputati il Pd, e quindi Zingaretti, che per molti non avrebbe battuto con attenzione e dedizione la strada di un’alleanza organica anche a livello regionale del Centrosinistra, tra i Dem e il M5S. Il tutto anche alla luce della considerazione che replicare l’alleanza governativa nelle singole Regioni avrebbe rafforzato il governo stesso.

Valutazioni rafforzate anche dal fatto che il Centrodestra alla fine, pure se al termine di un lunga telenovela, una sintesi è riuscita a trovarla (anche se di questo parleremo a breve). E così il Centrosinistra governativo andrà diviso quasi dovunque con il rischio altissimo di ritrovarsi sconfitto.

Timori che avrebbero negli ultimi giorni spinto Zingaretti a riprendere con maggiore convinzione il filo dell’alleanza di Centrosinistra, anche se molti fanno notare che ormai il tempo sta scadendo o, in molti casi, è proprio scaduto. Il che suona anche come una battuta d’arresto della linea Franceschini, il quale si è sempre battuto affinchè si giungesse a un’alleanza organica tra Pd e M5S e di tutto il Centrosinistra.

Bonaccini a Zingaretti: irrobustire il gruppo dirigente

Stefano Bonaccini

E gli echi di una piccola crisi al vertice del Nazareno già si avvertono in sottofondo, quando proprio il governatore fresco di rielezione, Stefano Bonaccini, ha invitato Zingaretti a “irrobustire il gruppo dirigente” a conferma che dopo il voto delle Regionali si potrebbe aprire un confronto interno.

E se nel Pd si arriva a un confronto interno perché non potrebbe accadere lo stesso al governo? Domanda che nessuno al momento ha il coraggio di formulare ma che potrebbe verificarsi.

Dopo un secco 5 a 1 chi e cosa fermerebbero Giorgia Meloni e Matteo Salvini dal chiedere il ritorno al voto? E se a questa batosta nelle urne si unisse una profonda crisi sociale dettata dal fallimento delle misure economiche varate dal governo? Una miscela esplosiva.

Ecco perché in zona Cesarini Nicola Zingaretti starebbe cercando di rafforzare le alleanze di Centrosinistra sul territorio. Compito difficile anche perché oltre il tempo c’è l’oggettiva difficoltà di riunire soggetti politicamente diversi, che soltanto la necessità e lo spettro del voto e della vittoria a valanga di Salvini ha unito.

Centrodestra in piazza
Salvni, Meloni, Tajani

In confronto però il Centrodestra non sta meglio. Se è vero che un punto di sintesi è stato raggiunto sui candidati, la situazione rimane altamente febbrile. Colpevole la Lega di alzare i toni del confronto nell’alleanza e di porre una serie di elementi di frizione.

In Campania la Lega rilancia sulle liste pulite

In Campania, ad esempio, la questione delle liste pulite. Un modo, fino a un certo punto garbato, per dire no alla candidatura del figlio di Luigi Cesaro, Armando, al Consiglio regionale. Non un nome qualunque ma un pezzo da novanta perché capogruppo uscente, ma soprattutto figlio del senatore di Fi indagato e che nelle scorse settimane ha assistito all’arresto dei fratelli per camorra.

C’è da dire che Armando non risulta indagato e finora non è stato raggiunto da avvisi di garanzia, il che rende alquanto inspiegabile la battaglia ingaggiata dalla Lega. E’ evidente che le colpe dei padri non possono ricadere sui figli. Ma tant’è che la levata di scudi della Lega ha innescato una serie di tensioni, che secondo alcuni sono sembrate pretestuose e quasi finalizzate a mettere in discussione quell’unità appena raggiunta e frenare la coalizione della rincorsa a De Luca.

In Veneto la Lega pone come condizione l’Autonomia

Da Sud a Nord  si arriva nel Veneto dove il botta e risposta a mezzo stampa, attraverso interviste, è tra Lega e Fratelli d’Italia. Pomo della discordia l’Autonomia su cui la Lega chiederebbe un impegno formale ed esplicito di tutti i candidati e in particolare di FdI. Una provocazione, hanno risposto da FdI, rilanciando con il presidenzialismo. Morale della favola, nuove tensioni che rischiano di spostare l’attenzione e di vanificare gli sforzi finora fatti per dare unità alla coalizione.

Ma forse anche un modo per la Lega di sottrarre agli alleati la ribalta e metterli in difficoltà su due tempi sentiti e guadagnare consensi: la legalità per Forza Italia e l’autonomia per un partito come FdI fortemente centralista. Senza considerare che il rischio di disaffezione degli elettori può essere alto e pagato caro in termini di consensi finali. Al punto che qualcuno con malizia si sta chiedendo a che gioco stia giocando la Lega: a perdere?

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