Filippo Turetta: «Sono affranto per aver ucciso Giulia, voglio pagare»

ll ragazzo lascia intendere di avere avuto una sorta di black out mentale

Non spiega, non dà dettagli, Filippo Turetta ammette l’omicidio di Giulia Cecchettin, come aveva già fatto davanti alla polizia tedesca, anche perché di fronte alle prove c’era poco da fare. Però, fa un passo in più rispetto alle parole di una decina di giorni fa, che non avevano valore nell’inchiesta italiana.

Si dice pentito, pronto a scontare tutta la pena per ciò che ha fatto, pur non citando mai il nome della sua ex fidanzata e lasciando intendere che potrebbe avere avuto una sorta di black out mentale. Piange Filippo Turetta quando si conclude l’interrogatorio di garanzia davanti al gip di Venezia Benedetta Vitolo nel carcere Montorio di Verona.

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Tutto dura meno di mezz’ora, il tempo delle formalità di rito, davanti anche al pm Andrea Petroni e al difensore Giovanni Caruso. Il 21enne, con gli occhi sempre un po’ assenti e lucidi sin da quando si siede davanti alla giudice, sceglie di avvalersi della facoltà di non rispondere. Nessun chiarimento, dunque, nessun aiuto alle indagini per il momento. L’avvocato e professore Caruso, dopo circa due ore di colloquio con Turetta seguito all’interrogatorio, annuncia, però, ai cronisti fuori dal carcere che il giovane in quei pochi minuti ha comunque «ritenuto doveroso rendere dichiarazioni spontanee con le quali ha sostanzialmente confermato le ammissioni fatte alla polizia tedesca».

Quando era stato arrestato vicino a Lipsia, fermo con la sua auto senza benzina, aveva detto di avere ucciso Giulia, chiamandola ancora «fidanzata», di aver vagato per una settimana tentando anche di uccidersi, ma di non aver avuto il coraggio. Il giovane, quattro giorni fa estradato dalla Germania e ancora nel reparto infermeria del penitenziario veronese, dove continua a chiedere di potere vedere i genitori, ha usato parole diverse, senza riferimenti a tentativi di suicidio e che dimostrano, pur con apparente freddezza, più consapevolezza del terribile delitto commesso.

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«Dispiaciuto per la tragedia»

«Sono affranto – ha spiegato, come si legge nelle dichiarazioni – dispiaciuto per la tragedia che ho causato. Non voglio sottrarmi alle mie responsabilità, voglio pagare quello che sarà giusto per aver ucciso la mia ex fidanzata. Sto cercando di ricostruire nella mia memoria – ha detto ancora – le emozioni e quello che è scattato in me quella sera. Fin da subito era mia intenzione consegnarmi e farmi arrestare. Questa era la mia intenzione. Ora – ha concluso – sono molto stanco e non mi sento di aggiungere altro». C’è un riferimento, quindi, a qualcosa di irrazionale che potrebbe essere «scattato».

E ciò potrebbe essere approfondito con una perizia psichiatrica, anche se al momento un’istanza in questo senso non è stata presenta. La difesa, infatti, probabilmente prima dovrà lavorare ad una propria consulenza psichiatrica, per poi chiedere nelle indagini o nel processo la perizia. In più, nelle parole di Turetta c’è pure quell’accenno alla «ricostruzione» nella «memoria» che fa pensare che il ragazzo, anche sulla base di un’interlocuzione tra il pm e il legale, possa decidere nei prossimi giorni, quando sarà pronto, di raccontare alla Procura ciò che è successo esattamente l’11 novembre tra Vigonovo e Fossò e poi ancora lungo la strada verso il lago di Barcis, zona in cui ha abbandonato il cadavere ritrovato una settimana dopo. Lo stesso giorno in cui si è conclusa la sua fuga a centinaia di chilometri di distanza.

I punti da chiarire

Sono diversi i fronti da approfondire, dalla sospetta premeditazione fino agli oggetti, come un libro per l’infanzia, lasciati vicino al corpo della studentessa.

Lo faranno le indagini, se Turetta non vorrà prima spiegare per filo e per segno come sono andate le cose. Sulle coltellate, almeno una ventina in tutto, e sulle altre ferite, una anche alla testa, forse causata dalla spinta che l’ha fatta cadere su un marciapiede, potrà dare risposte l’autopsia fissata per l’1 dicembre. Intanto, il legale di Elena, sorella di Giulia, l’avvocato Nicodemo Gentile, chiede che venga accusato anche di stalking, perché ha «dimostrato di essere un ‘molestatore assillante’» con «fame di possesso» e un «uso padronale del rapporto», anche con «chiamate e messaggi incessanti». L’omicidio gli è servito, conclude, per «gratificare la sua volontà persecutoria».

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