Grazie alle polemiche vuoto a perdere della sinistra, il suo libro «Il mondo al contrario» è diventato immediatamente un best seller
Quando si parla di libertà di espressione si confrontano diverse e contrapposte scuole interpretative, ovvero tra chi immagina che comunque ed in ogni luogo va tutelata la libertà di esprimere le proprie ragioni e chi, invece, intende condizionarla o ancora contenerla in ambiti di angusti e poveri di pluralità di idee e valori. Al di là se sia di Evelyn Beatrice Hall o di Voltaire (vero o fake che sia) il «Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo» rimane un ditterio essenziale e fondativo della convivenza civile per garantire il rispetto di ciascuna personalità nel riconoscergli lo «free speech» di impianto liberale, in cui ritrovarvi libertà, democrazia e condizioni favorevoli ad una discussione pubblica in senso pluralistico.
È di questi giorni la polemica che ha avuto al centro il Generale Vannacci con il suo libro «Il mondo al contrario». Come al solito il pensiero «molle» di una sinistra egemone va in corto-circuito, quando cerca sempre di utilizzare, a fini strumentali, argomenti triti, scagliandosi sui pregiudizi anti-destra.
Tuttavia Vannacci, militare paracadutista con un bagaglio di esperienze notevoli, non fa altro che esprimere ragionevolmente il suo punto di vista e nella quarta di copertina del libro specifica e sintetizza curiosamente il suo pensiero: «Quando gli occupanti abusivi delle abitazioni prevalgono sui loro legittimi proprietari; quando si spende più per un immigrato irregolare che per una pensione minima di un connazionale; quando l’estrema difesa contro il delinquente che ti entra in casa viene messa sotto processo; quando veniamo obbligati ad adottare le più stringenti e costosissime misure antinquinamento, ma i produttori della quasi totalità dei gas climalteranti se ne fregano e prosperano; quando le città si trasformano in luoghi per single benestanti e alternativi mentre lavoratori, operai e Famiglie sono costretti ad abbandonarle; quando definirsi padre o madre diventa discriminatorio, scomodo ed esclusivo perché urta con chi padre o madre non è. Molti chiamano questa condizione Civiltà e Progresso. Ecco, questo libro è dedicato a tutti gli altri!»
Ebbene andando oltre i tanti pregiudizi che si possono coltivare sulla «Folgore», compresi i miei, bisogna riconoscere che questo argomentare è condiviso da moltissimi nonostante la coltre di ipocrisia che serve solo nascondere i soliti vizi privati rispetto alle tante millantate pubbliche virtù. Ma la questione, seppur strumentalmente impiegata nel dibattito pubblico, è finalizzata ad associare, incredibilmente ed immotivatamente, argomenti sghembi ad esempio Meloni e Vannacci da interpretare unilateralmente ed arbitrariamente, distorcendo la dimensione della pretesa simpatizzante vicinanza. Insomma è la solita solfa di chi pretende di dare lezioni ed insegnare la morale o, peggio ancora, imporre la propria dottrina.
Il limite di questo tentativo di falsare la discussione è nel metodo: ovverosia quello di immaginare la società ad una dimensione, di pretendere che tutti, nessuno escluso, la debbano pensare allo stesso modo, all’insegna di un maldigerito senso della realtà e di una pericolosa china tesa a criminalizzare quanti la pensano alla stessa maniera di Vannacci, seppur diversamente e con molteplici sfumature di sottotesto.
È sconvolgente che ci siano ancora i Soloni che si impancano per giudicare, rimproverare e/o sottolineare con la matita blu presunti errori di impostazione dell’altro da sè. Ed in questo quadro ciò che mette paura sono coloro che additano chi non la pensa alla stessa maniera uniforme perché sono, a parere loro, da ritenersi colpevoli di non si sa bene cosa.
Nel contesto dato a chiarimento di tali concetti voglio prendere a prestito le parole di un sensibile ed intelligente critico musicale, Giuseppe Costa, laddove ci consegna lo strumento critico ed un lineare paradigma secondo cui «Il problema non è tanto nell’ascolto quanto nel comprendere il momento in cui il suono si sta avviando ad un mutamento di prospettiva. Il valore dell’esperienza che si vuole rilevare è nella capacità di intendere un significato a priori, nell’istante – da una possibilità mediata dalla ragione – perché è la percezione del tempo in senso affermativo e negativo che stabilisce il valore comunicativo di un processo».
Emerge chiaramente qui il limite dei pensatori-militanti di sinistra che pensano che non ci possa essere altra prospettiva rispetto a ciò che elaborano loro. Il disastro di questo orientamento è che non si rendono, fondatamente, conto di costruire, così operando, un pensiero che tenta di chiudere la mente libera in prigione o ancora peggio fare di Vannacci la vittima sacrificale nel solito rito egemonico di quanti vogliano eliminare chi la pensa diversamente.