«A vent’anni ci chiedevamo se saremmo morti democristiani. Non importa se non avrò più molto tempo: l’importante per me ora è non morire fascista»
Stando nel mondo intellettuale di sinistra, andare contro Giorgia Meloni ci sta. Lo fa abitualmente Montanari e lo fa Saviano e qui nulla di male se non per il fatto che la critica smaccata, antifascista, ideologica e novecentesca appare spesso stucchevole e fuori dal tempo attualmente vissuto.
Tranne strali residuali di revanscismo ormai il messaggio risulta essere inconcludente e fuori contesto. Anche la Schlein che per qualche giorno, dalla sua elezione a segretario del PD, apparve come una meravigliosa sorpresa, quale reazione di sinistra alla figura femminile della Meloni, tuttavia ebbe talmente fiato corto da non andare oltre qualche tesserato in più.
Adesso la sinistra con queste comparsate e le rappresentazioni tutte emiliano-romagnole evoca ulteriori ritardi culturali e politici, laddove si riduce a fare il controcanto alla destra di governo che riesce, in condizioni date, a mettere mano ad una politica sociale, a declinare la governabilità attraverso scelte rivolte ad incarnare momenti di solidarietà ed a riscuotere un’acquisita credibilità internazionale.
Di fronte a tutto questo ogni giorno che passa gli interpreti del pensiero di sinistra si mostrano critici senza perché, giacchè rispetto a quanto chiesto in tutte le vertenze, poste sul tavolo delle contrattazioni, si ritrovano senza una politica risolutiva e senza un paradigma che sia capace di andare oltre uno stato confusionale su diritti civili e su rivendicazioni del tutto astratte, come quando Landini evoca la minaccia di uno sciopero generale per dare una scossa al torpore e/o alla indifferenza con cui gli italiani guardano alle petizioni di principio e/o del tutto generiche che provengono dalle forze di opposizione al governo. Di contro i cd. intellettuali che dovrebbero insegnarci come pensare la modernità si riducono a cantori dell’odio e dell’insulto.
In questi giorni nel dibattito pubblico avviene qualcosa di poco comprensibile con i criteri di umanità e di razionalità: Michela Murgia, difatti, se ne esce in una intervista al «Corriere della Sera» rilasciata al Aldo Cazzullo con una dichiarazione «terribile» quanto frutto di un nichilismo disperato quando dice «Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono. Me l’ha spiegato bene il medico che mi segue, un genio. Gli organismi monocellulari non hanno neoplasie; ma non scrivono romanzi, non imparano le lingue, non studiano il coreano. Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto, o l’alieno».
E chiude in modo assolutamente terribile quando dichiara «Quando avevo vent’anni ci chiedevamo se saremmo morti democristiani. Non importa se non avrò più molto tempo: l’importante per me ora è non morire fascista».
In queste frasi c’è il corto circuito di un pensiero che si inceppa e che di fronte al dolore dell’anima non riesce ad affrancarsi ove si fa tutt’uno con la definizione di cancro; dandosi così un orizzonte bieco ed insincero, quello che vede, in modo del tutto arbitrariamente e unilateralmente, un contesto che interpreta come «fascista» e che vuole che questo contesto possa esaurirsi prima che la morte fisica della sua esistenza si appropri del suo corpo.
Ecco che il dramma si fa tragedia e che la politica ed il suo pensiero, destinati solitamente e storicamente a dare vita a qualcosa di vitale, si sono, invece, ridotti a momenti senza più nerbo, se non per il livore che l’autrice esprime. Ebbene mutuando Erasmo da Rotterdam si perviene ad una rappresentazione per la quale «come le tigri frastornate dal suono dei cembali si inferociscono: così ciò che modera le menti sane irrita e inasprisce le impetuose e rozze».
Qui la Murgia dovrebbe ribellarsi a se stessa ispirandosi consapevolmente alla bellezza della vita e non avvelenarsi la mente lanciando strali in un mondo che ha bisogno di mitigare il dolore per meglio smontare il caos che ci circonda, senza tracotanza e con l’umile impegno rivolto a rigenerare l’umanità ed a elevare lo stare assieme nel mondo, tentando di ridurre il rumore delle macchinazioni ciniche e delle strategie del potere intellettuale ad una dimensione ed omologante.
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