Maggioranza e opposizione si incontrano per discutere delle riforme istituzionali

Giustissimo scriverle insieme, ma con questa sinistra sarà possibile riuscirci?

Ci siamo. Martedì dalle 12,30 alle 20, nella Biblioteca della presidenza della Camera, maggioranza e opposizione cominceranno a discutere di riforme istituzionali: Presidenzialismo, Autonomia e ritorno delle province.

Giusto provare a farle insieme, ma tutt’altro che semplice. Il dibattito rischia di essere ingarbugliato e non poco dai «sacerdoti» del pensiero debole che preferiscono l’ideologia alla realtà e alla concretezza. Per questo pretendono di farlo passare anche per «unico». E, per quanto ridondante di slogan e luoghi comuni, pretendono che tutti vi si adeguino. E chi rifiuta di portare il cervello all’ammasso e continua a pensare con la propria testa è messo al bando perché «fascista».

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E non da oggi, bensì da quando nel 1947 al ritorno da un viaggio negli Usa, De Gasperi – in cambio delle risorse del piano Marshall – fece cadere il governo di unità nazionale, perché agli Usa, non convinceva la partecipazione dai comunisti. I quali risposero accusando la Dc di aver rotto l’unità antifascista.

Stessa accusa a Pannella per aver paragonato – in occasione del 21esimo congresso del partito radicale – le azioni terroristiche delle Brigate Rosse alla strage di via Rasella. Poi toccò a Craxi accusato di aver fatto regredire il Psi fino al tempo del social-fascismo e a Cossiga di cui i «gendarmi» della Costituzione chiesero l’impeachment, a Saragat e a La Malfa, quindi alla Lega, di cui, però, qualche tempo dopo D’Alema si innamorò – e la definì «una costola della sinistra» – sperando così di poterla strumentalizzare e a Berlusconi contro il quale la sinistra per oltre 25 anni ha scatenato le toghe amiche, che lo sottoposero a una quarantina di processi. E pare non sia ancora finita.

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Il «pensiero debole», unico depositario della verità

Questo per elencare solo i più conosciuti fra gli esponenti politici di rilievo accusati di fascismo. E adesso è arrivato il tempo della Meloni e di Fdi. Colpevoli di aver vinto – e anche in maniera travolgente – le ultime elezioni politiche. E poiché, – come detto prima – il «pensiero debole», si ritiene anche unico depositario della verità assoluta è sempre in cerca di avversari da mettere all’indice. E per riuscirci è pronto a rinnegare anche se stesso. Sempre che ciò possa servire a rimescolare le carte. Naturalmente, per mettere sotto scacco il governo di destra-centro.

Tutto questo – approfittando dell’alleanza con giornal(i)oni, sempre disponibile a far da eco all’opposizione – ne completa la mutazione «strumentale». Non è per caso che – prima e dopo il voto, come prima e dopo la costituzione del governo – non si è fatto che parlare di Meloni come di una leader isolata in Europa e nel mondo, mentre ora che viene ricevuta con tutti gli onori in tutte le cancellerie del globo nessuno ne parla, se non per dire che «va in missione all’estero per evitare il rischio di scivoloni in aula».

E non dimentichiamo che quando, reddito di cittadinanza e decreto dignità furono approvati in Parlamento, la sinistra votò «no» sparandogli contro palle di fuoco, adesso però, in difesa di entrambi, Schlein le palle infuocate le scaglia verso l’esecutivo della «donna in nero». Che ha approvato un taglio del cuneo fiscale del 7%, con aumenti di stipendi oscillanti fra gli 80 e 100 euro al mese, che per Cgil e Dem sono «pochi, lordi e una tantum», ma loro ne avevano proposto uno di 5 punti che avrebbe prodotto aumenti di non più di 71 euro.

Premier «tecnici» e non solo

E probabilmente, ve ne sarete resi conto anche voi che è da quando (2011) i premier sono diventati tecnici, nel senso di «nominati» dai Capi di Stato e non «eletti» che nessuno di loro risponde più alle domande dei giornalisti e se accettano di essere intervistati pretendono di leggerne il contenuto prima della pubblicazione. Non hanno mai avuto, però, remore a inviare alle tv video autorealizzati. E nessuno se n’è mai adombrato.

Ma se lo fa la Meloni che, invece, è stata eletta dagli italiani, è «bavaglio». Ma un report di «Giornalisti senza frontiere» fa sapere che nel 2023 l’Italia ha recuperato ben 17 posizioni (da 58° nel 2022 a 41° nel 2023) nella graduatoria mondiale della libertà di stampa. La morale è che, se il «pensiero debole» è anche «unico», diventa «strumentale» ed è meglio non fidarsene. Gli italiani lo hanno capito, la sinistra, no. Il che garantisce lunga vita al governo Meloni. E forse anche la realizzazione delle riforme.

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