Evitiamo all’Italia il rischio di trasformarsi nel Mezzogiorno d’Europa

di Mimmo Della Corte

Il nostro Paese sta correndo il pericolo di diventare una «dependance»

Niente di nuovo sotto il sole. L’Italia, dopo il voto, è ripartita da dove si era fermata prima. Ma con un governo ancora più forte e convinto dal «sì» degli elettori di Lazio e Lombardia. Letta e compagni sono stati travolti. Ma la colpa – a sentirli – non è loro, né della loro inconsistenza e neanche merito di quanto ha fatto l’esecutivo nei suoi primi 100 giorni di governo.

Sin dal primo «intention poll» hanno cercato – pur fingendo di riconoscerla – di delegittimarne la vittoria, prendendosela con l’assenteismo. Ma nonostante la sonora batosta, Letta – pur con un piede, già oltre l’uscio del Nazareno – si è detto soddisfatto perché «l’opa lanciato sul Pd è fallita e i dem sono «ancora il primo partito dell’opposizione» ovvero del nulla. Contento lui, contenti, tutti!

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La verità e che «lorsignori» continuano a non volersi accorgere che ciò che manca in questo Paese, è l’opposizione ovvero loro. Che proprio non riescono a capire che politica non significa demonizzazione costante e continua dell’avversario, bensì confronto magari duro, ma leale nell’interesse del Paese. In mancanza di questo, non ricevendo risposte dalla politica e non sentendosi rappresentati i cittadini rinunciano a votare.

Il ricatto «case green»

Invece, incuranti dell’ennesima lezione ricevuta dalle urne, come sempre «tutti insieme appassionatamente» (Pd, 5S, Verdi) hanno detto «sì» al ricatto «case green» edilizio dell’Ue – che non tiene in alcun conto la particolarità e il valore storico-architettonico degli immobili italiani – contro cui il governo ha votato «no» e Nomisma Energia (pianeta Prodi, tessera numero uno del Pd) ha stroncato. Perché costerà un bel po’ di miliardi, ma impatterà sull’inquinamento ambientale solo per l’1%.

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Stop auto a benzine e diesel

Un «sì» ribadito qualche giorno dopo per lo stop alle auto a benzina e diesel e il via libero alle elettriche, e quello a bus e tir. Senza considerare il costo che tutto questo comporterà, mettendo a rischio oltre 2.000 aziende e centinaia di migliaia di posti di lavoro e le risorse indispensabili per l’acquisizione delle materie prime necessarie a costruirle. Nessun delle quali è disponibile nel nostro Paese e per l’installazione delle colonnine elettriche per «ricaricarne» le batterie. di cui le nostre stazioni di servizio sono sprovviste.

Subito dopo è arrivata la sforbiciata dell’80% ai fitosanitari in agricoltura per il 2030, scavalcando il 50% (per l’Italia, guarda caso, il 65%) proposto dalla Commissione. Una forca dalla quale non potevano uscire esenti industria e zootecnia. Tant’è che alle stalle con oltre 150 capi, sono stati imposti gli stessi limiti ambientali e autorizzativi, previsti per le produzioni. Finiranno, quindi, soppressi centinaia di allevamenti. E se facciamo un piccolissimo passo indietro, ci imbattiamo in un’altra eurofollia il «no» a dieta mediterranea, carne, pesce, salumi, formaggi, vino, birra e il si al cibo alternativo, il verme della farina, grillo, insetti e carne e polli sintetici prodotti in laboratorio.

Il superbonus

Di più. La nuova governance della commissione ha deciso che la spesa pubblica annuale può salire al massimo dell’1,6%, ma la nostra sale del 2,5% e poiché il superbonus edilizio (110%) di 5S e Pd, ha sfasciato i conti e prodotto un buco di bilancio di oltre 100 miliardi che l’Eurostat considera deficit, per cui l’Italia ha rischiato il fallimento ed è stato necessario intervenire subito.

Ovviamente, lorsignori, provano a scaricare la colpa sul governo Meloni e fomentando la rabbia, fingendo di non essersi accorti che ancora una volta la realtà si è presa la briga di smontare le loro bugie con Confindustria che conferma nel primo trimestre 2023 il Pil italiano continuerà a crescere dello 0,6% e la rescissione se ne starà ben lontana dall’Italia.

Chi pagherà tutto questo? C’è da dirlo? Soprattutto l’Italia, che rischia di subire la stessa sorte del Sud diventato – all’indomani della finta unità – colonia e trasformarsi da «Paese fondatore» a «dependance» dell’Europa. Le premesse purtroppo, sembrano esserci tutte. A cominciare dalla subdola connivenza della sinistra con la von der Leyen e la commissione Ue. Per evitarlo non ci resta che sperare che Meloni riesca a completare il percorso per la definizione di un asse di centrodestra anche in Europa.

Unica strada per fermare la deriva dirigista e follemente green di Bruxelles. Il «no» compatto di Ppe, Ecr, Id, allo stop ai veicoli a benzina – anche se non è servita, per pochi voti, a fermare l’ecofollia – ha dimostrato che la Meloni è già diventata (come ha sostenuto, l’ex governatore di BankItalia e premier Dini) «un leader europeo», per cui, si può fare. In ottica europee 2024.

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