Camorra a Ponticelli, la faida a colpi di bombe dopo uno sgarbo telefonico

di Redazione

La guerra tra i clan De Luca-Bossa e De Micco-De Martino

E’ scattata dopo uno sgarbo telefonico la contrapposizione armata, a colpi di bombe, tra i clan De Luca-Bossa e De Micco-De Martino nel quartiere Ponticelli di Napoli. Emerge dall’ordinanza con la quale il gip di Napoli Maria Luisa Miranda ha disposto sei misure cautelari in carcere notificate agli indagati dai carabinieri. Una telefonata interrotta che ha consentito ai De Micco di capire che ormai la guerra era alle porte. I rapporti, sempre tesi, tenuti comunque sotto controllo grazie a un patto, si inaspriscono dopo un duplice arresto che spinse i De Micco all’espansione nello spaccio della droga.

Un tentativo mal visto, ovviamente, dai loro rivali. Ma fu un altro arresto, quello di un affiliato ai De Luca Bossa trovato a bordo di un’auto rubata che stava cercando di parcheggiare in una zona di loro «competenza», a determinare l’avvio delle ostilità. A spiegarlo agli inquirenti durante un interrogatorio è il collaboratore di giustizia Antonio Pipolo, lo scorso 3 agosto. «Pensammo – dice – che parcheggiando quell’auto lì volessero organizzare un omicidio nei nostri confronti e che tale omicidio fosse stato organizzato da Luigi Austero, rimasto reggente».

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La conversazione interrotta bruscamente

I De Micco decisero di chiamare proprio il reggente per chiedere spiegazioni e questi interruppe repentinamente la conversazione chiudendo il telefono in faccia ai suoi interlocutori. «Da lì – spiega Pipolo – iniziarono le bombe. Partirono all’attacco perché capirono che avevamo capito». I fatti oggetto dell’indagine riguardano la parte finale di una faida tra i due clan, caratterizzata da una lunga serie di attentati, tentati omicidi e omicidi.

Il «pentito» Antonio Pipolo, ex affiliato al clan De Micco, è reo confesso di un duplice omicidio che vide tra le vittime anche un operaio estraneo agli ambienti della camorra: si tratta del 56enne Antimo Imperatore, ucciso insieme con Carlo Esposito, 29 anni, legato al clan De Martino, mentre stava eseguendo dei lavori a casa del reale obiettivo dell’agguato, scattato sull’uscio della sua porta di casa. Il «pentito» spiega anche che il suo clan lo voleva morto, perché, suppone, ritenuto «l’anello debole» della catena malavitosa. La sua morte – secondo quanto era stato deciso nel corso di un summit – sarebbe dovuta sembrare accidentale, durante una rissa in discoteca.

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