DL (il)liquidità: Al Sud il post-coronavirus riparte dal pre-covid

di Mimmo Della Corte

Al Sud: come prima, più di prima, anzi peggio di prima! Come è noto, il Governo Conte, ha lasciato – con il “dl (il)liquidità” sulle misure per l’accesso al credito del 6 aprile scorso – ai manager bancari l’ultima parola sulla concessione o meno dei prestiti garantiti dallo Stato, fino a 25mila euro e fino a 800mila.

Sicché, questi – per non correre il rischio di pagare di persona anche sul piano penale, le conseguenze per l’eventuale mancata restituzione del prestito – hanno preferito andarci con i piedi di piombo. Il che, ha fatto si che a trarne i maggiori vantaggi, alla luce del rapporto: prestiti ottenuti e P.Iva e Pmi operanti sul territorio, sia stato – tanto per cambiare – il Nord. E a uscirne penalizzata, ancora una volta, l’economia, meridionale.

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Lo si rileva da un rapporto della Federazione Autonoma Bancari italiani, dal quale questo squilibrio territoriale tra prestiti ottenuti e potenziali beneficiari, emerge chiaro, evidente ed inconfutabile. Secondo tale analisi, infatti, ben il 50,7% dei finanziamenti ottenuti grazie alla garanzia dello Stato, è andato a 4 regioni del Nord: Lombardia (3,9mld di richieste, pari al 22,6% del totale complessivo), Veneto (1,9mld ovvero l’11,5% totale), Emilia Romagna (1,7mld pari al 10,1% del totale) e Piemonte (1,1mld il 6,5% del totale). Complessivamente, un 50,7% ben superiore sia alla percentuale (38%) di Professionisti e imprese operanti sul territorio, sia a quel 49,3% di prestiti finiti al resto d’Italia dove, però, opera la stragrande maggioranza (62%) di autonomi e pmi, attivi in Italia.

Ma dalla disaggregazione dei dati, si evince – anche qui, con grande evidenza – che le aree maggiormente penalizzate dal rapporto fra prestiti ottenute e potenziali beneficiari, sono il Sud continentale: 2,9mld richiesti pari al 17,3% del totale finanziato a dispetto del 23,3% dei possibili beneficiari operanti nell’area, con un 6% potenziale in meno; e Sud insulare che con quell’1,1mld ovvero il 6,5% del totale delle richieste è al di sotto del 4% rispetto a quanto avrebbe potuto ottenere in considerazione che ospita ben il 10,5% di imprese e professionisti d’Italia.

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Ma scendendo ancora più nel merito delle cifre, se ne ricava che le due regioni maggiormente penalizzate risultano essere: la Sicilia con 262mln pari al 5% del totale ottenuto, denuncia uno squilibrio di ben il 2,7% in meno rispetto a quel 7,7% di imprese e professionisti presenti sul territorio e la Campania che con 1,3mld di richieste, in pratica il 7,7% del totale, è in debito del 2,1% perché nel proprio territorio ospita il 9,8% di imprese e professionisti operanti in Italia.

Dall’analisi Fabi, inoltre, si rileva anche che, ancora una volta il Nord, con il 55,5% di richieste a fronte del 44,4% di potenziali aventi diritto porta a casa un notevole +11,1%, contro il –0,2 del Centro ed il –10 del Sud continentale ed insulare sommati insieme.

Ebbene, cosa si ricava da tutto ciò? Intanto che il combinato disposto della superficialità e gli errori del governo (o forse a questo punto dovremmo definirlo governicchio?) Conte nella definizione del decreto liquidità – e forse non solo di questo – dello scarso amore delle banche per il Sud e le sue ataviche difficoltà economiche e della mancanza di una banca espressione del territorio che investa qui, quello che qui raccoglia, ancora una volta lo penalizzano di fronte al Nord.

Purtroppo, il ‘post’ coronavirus, per il Mezzogiorno comincia esattamente da dove si era fermato il ‘pre’. Anche per questo la corsa verso la macroregione autonoma del Sud, deve continuare. Con ancora maggiore determinazione.

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