Dal virtuoso esempio dei Borboni alla disfatta di oggi, analisi e curiosità sulla gestione dei rifiuti. Nell’800 qui già c’era la «differenziata»
Napoli, città illuminata, culla di arte e storia millenari, differente da altre grandi città d’arte la cui geniale espressività è legata a «brevi» momenti della storia. Una città orfana di chi avrebbe dovuto proteggerla e glorificarla ed invece destinata a cadere e rialzarsi, costretta senza posa a dimostrare il proprio valore. Sono anni ormai che Napoli è indegnamente ricordata solo per il malaffare o, per dirla in maniera semanticamente corretta, il «male a fare» inteso come tradizionale tendenza all’immobilismo. Ma non è stato sempre così.
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Che Napoli abbia eccelso nel proprio antico passato è cosa dimostrata anche se ancor poco nota; che sia stata una città d’avanguardia in Europa quando altre città come Parigi e Londra erano poco più di piccoli sobborghi insalubri lo si sapeva al punto da dover ordirne un malvagio piano per disfarla. Napoli ha saputo innovare anticipando i tempi di oggi. Fa una certa impressione scoprire la città partenopea come la prima del pianeta a dimostrare sensibilità verso l’ambiente; tematiche che ci sembrano acerbe addirittura oggi e che invece il reame borbonico aveva sapientemente preso in seno. Quasi 200 anni fa si parlava già di raccolta differenziata.
Il prefetto di polizia nel 1832
Ecco che cosa ordinava ai napoletani, nel 1832, il prefetto di polizia Gennaro Piscopo: «Tutt’i possessori, o fittuari di case, di botteghe, di giardini, di cortili, e di posti fissi, o volanti, avranno l’obbligo di far ispazzare la estensione di strada corrispondente al davanti della rispettiva abitazione, bottega, cortile, e per lo sporto non minore di palmi dieci di stanza dal muro, o dal posto rispettivo». Il prefetto aggiunge che «questo spazzamento dovrà essere eseguito in ciascuna mattina prima dello spuntar del sole, usando l’avvertenza di ammonticchiarsi le immondezze al lato delle rispettive abitazioni, e di separarne tutt’i frantumi di cristallo, o di vetro che si troveranno, riponendoli in un cumulo a parte».
Raccolta differenziata ante litteram. Nel dettagliato documento del prefetto, in 12 articoli, si descrivono le modalità della raccolta e chi ne è responsabile; si stabilisce il divieto di gettare a qualsiasi ora dai balconi alcun materiale di qualunque natura, comprese le acque servite per i bagni, e di «lavare o di spandere panni lungo le strade abitate»; si stabiliscono pene per le contravvenzioni, inclusa la detenzione.
Insomma lo Stato Duo Siciliano era tanto all’avanguardia da comprendere di valore di un ciclo dei rifiuti virtuoso al fine ridurre i conferimenti nelle pubbliche discariche. Purtroppo il passato napoletano poco può insegnare in tal senso, perché si sa, la storia la scrivono i vincitori, e la storia specie se positiva basta poco per nasconderla.
L’era moderna
Le condizioni in cui si trova oggi la città né sono un vivido esempio. Al suo insediamento, l’allora sindaco Luigi de Magistris annunciò in pompa magna che dì li a poco la raccolta differenziata avrebbe toccato il 70%; purtroppo per la povera Napoli proprio così non fu. Stando ai dati registrati dall’osservatorio ISPRA, il catasto rifiuti Nazionale, emerge che a Napoli la raccolta differenziata, sia passata dal 18 al 35% nel decennio 2010-2020.
Dati sicuramente beneauguranti ma molto deludenti se confrontati con altre grandi metropoli come Milano, Firenze o Torino che hanno già raggiunto livelli rispettivamente del 63, 54 e 52 percento, mentre i grandi capoluoghi meridionali sono abbondantemente al di sotto della media Nazionale. Maglia nera Palermo con il 14%.
Non resta che sperare che i nuovi investimenti fatti e le nuove risorse umane appena impiegate possano segnare la svolta. Diamo fiducia all’Azienda ASIA, che dopo anni di immobilismo sta manifestando voglia di cambiamento, ai nuovi assunti che stanno dimostrando senso del dovere e rispetto del lavoro che hanno meritato. E’ importante che la nuova amministrazione adotti misure concrete affinché i napoletani possano sentirsi nuovamente orgogliosi della propria città.
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