Regno Unito: torna il ritornello Brexit come causa di ogni male

di Eugenio Preta

Churchill: «Ogni volta che saremo costretti a scegliere tra mare aperto ed Europa, sceglieremo mare aperto»

L’abbandono dell’Europa da parte del Regno Unito deve essere considerato il più pesante fallimento politico della storia dell’Unione europea. Accettare infatti che il Regno Unito – che nell’40 aveva resistito da solo alla Germania nazista – uscisse dall’eldorado federalista dopo averne sbattuto la porta, è stato un momento devastante per il mondo unionista che ancora non riesce a sopportare questa ribellione.

Anzi, secondo un metodo ben sperimentato, Bruxelles si era subito messa in moto per provare a portare nuovamente al voto il popolo britannico, dimenticando che questo popolo sicuramente non rimane circoscritto a quello che abita i quartieri chic di Londra e che lavora nella City, ma a quel 52% dei votanti Brexit costituito dai metalmeccanici di Bristol, dai portuali di Liverpool, dai cassaintegrati di Manchester ed anche da tutti i democratici che cominciavano a temere che il loro voto non fosse servito a nulla. Bruxelles dimenticava soprattutto che quel popolo, che ha inventato la democrazia moderna, aveva votato e non avrebbe mai permesso che la sua volontà potesse venire travisata.

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Oggi il mondo conservatore si è dato un nuovo leader, il deputato di origini indiane più ricco del Parlamento, ex ministro delle finanze di Boris Johnson, Rishi Sunak, che prenderà automaticamente l’incarico di primo ministro sostituendo la dimissionaria premier Liz Tuss, l’ultimo politico ad aver incontrato la Regina Elisabetta in vita, che ha dovuto presentare le dimissioni al nuovo Re, Carlo III, senza essere capace però di spiegarne le ragioni.

In verità aveva dovuto accettare un nuovo progetto di bilancio basato su importanti riduzioni di tasse che, a causa dello stato delle finanze pubbliche, hanno provocato le reazioni negative della Borsa e delle riserve della Banca d’Inghilterra. Altro che ritorno della nostalgia eurofila.

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Le difficoltà maggiori della Gran Bretagna

Come succede in Europa continentale, anche in Gran Bretagna le difficoltà maggiori risiedono nell’aumento dell’inflazione: secondo il loro ufficio statistico, (Office for national Statistics) l’inflazione aveva raggiunto in settembre il 10,1%. Per lo stesso periodo Eurostat aveva attestato uno stesso 10,1% per l’insieme dei paesi Ue, ed il 9% per la zona euro. Come avrebbe potuto, questa situazione generalizzata di crisi, provocare un ripensamento tale da rimettere in discussione la manovra del voto Brexit?

Se si considera ad esempio l’inflazione del settore alimentare, sempre secondo Eurostat, in settembre questa aveva raggiunto, per l’insieme dei paesi Ue, il 15,8% contro il 14,8% registrato dall’Ufficio statistico britannico. Anche in questo caso le rivendicazioni eurofile dimostrano di non ricevere il conforto delle cifre.

Soltanto il settore energetico, a detta delle stesse fonti statistiche, dimostrerebbe una differenza evidente con un aumento dei prezzi dell’energia, per l’UE, del 38,6% e del 51,8 per il Regno Unito. Un’inflazione particolarmente importante dovuta però alla struttura del paniere energetico britannico in cui le energie fossili sono predominanti (77%) con il gas al 29,1%.

L’aumento dei prezzi, deflagrato alla fine delle ricette Covid oggi è esploso, soprattutto per il gas, con la guerra in Ucraina, nonostante il Regno Unito dipenda solamente al 4% dalle forniture russe. Da notare anche che l’energia nucleare rappresenta soltanto l’8% delle risorse in energia elettrica del Paese.

Anche in questo caso quindi, l’affermazione che tutti i problemi derivino dal Brexit appare quantomeno azzardata. Sul piano sociale poi, ogni criticità britannica deriva dal fatto che che in Gran Bretagna non esista ancora come nei Paesi Ue, con l’eccezione del Belgio, un calmiere del paniere energetico.

Responsabilità di ogni crisi al Brexit

Il mondo progressista britannico continua a voler assegnare le responsabilità di ogni crisi al Brexit dimenticando però il filo che lega a doppio mandato il vecchio Regno Unito al rampollo d’oltreoceano che lo ha soppiantato nella potenza imperiale.

Anche il presidente USA Biden ha sempre ricordato gli stretti legami che gli Stati Uniti mantengono con la Gran Bretagna, e l’esempio del conflitto ucraino ne è un caso di specie, dimostrando, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, la forza dei legami storici del mondo anglo- sassone.

Del resto Churchill, nel 1944, lo aveva chiaramente spiegato al generale De Gaulle rifugiato a Londra: «ogni volta che saremo costretti a scegliere tra il mare aperto e l’Europa, noi sceglieremo sempre il mare aperto». Di questo dovrebbero tener conto a Bruxelles piuttosto che sperare inutilmente in una rivincita Brexit.

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