L’Italia ha bisogno di realismo politico: prudenti ma non gattopardeschi…

Scongiurare la logica di «Occupy Wall Street»

Vi è una vecchia scuola di pensiero che rinvia tutte le ideologie, sia esse buone o meno, a visioni di realismo politico. Quando il consenso per una leadership si esprime senza tentennamenti, le linee guida dalla propaganda alla governabilità si impostano e posizionano sul crinale della coerenza o della necessaria adesione alle necessità del contesto.

Qui si impongono non più le parole forti dell’entusiasmo elettorale, dei comizi con le loro parole d’ordine ma si affermano le cogenti cose pratiche che vanno pianificate con una intessitura risolutiva, che costituisce trama per meglio resistere alle intemperie della storia.Oggi il gas e la connessa crisi bellica stanno mettendo a serio rischio la serenità dei cittadini e la pace tra i popoli.

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Il primo effetto della guerra, voluta da chissà chi nel rimpallo delle colpe, è quello di rendere tutto fragile e quindi operare in una cornice di precarietà, di ispirare il linguaggio della prudenza, quello che serve per ovviare a svarioni, quello che costringe i soggetti responsabili a discutere con tutti, sì da rafforzare le relazioni, a rendere le dinamiche momenti di ascolto e riconoscimento reciproco. Così da favorire la comprensione delle questioni ed assicurare ipotesi di soluzioni che non si riducano ad astrattezze, ma delineino percorsi su cui procedere con intelligenza e senso della realtà.

Il passaggio obbligato della interlocuzione con tutte le istituzioni fornisce l’occasione per un’esperienza, per quanto sia auspicabile, di quanto sia possibile ricercare altre vie di fuga ovvero di trovare percorsi virtuosi in cui rintracciare e coniugare solidarietà e pragmatismo, negoziazione sul piano delle regole europee che vanno riviste e forza di dare una direzione di marcia chiara.

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Ripartire riempiendo la politica di contenuti

I trattati sovranazionali, che costituiscono il vincolo esterno a cui dobbiamo far attestare lo stato nazionale, meritano un’attenzione speciale ed una terapia giuridica che sia in grado di riformare l’assetto attuale, in cui il debito rimane strumento per rendere ostaggio i popoli che vivono sempre più in condizioni di povertà e sudditanza. In una sorta di globalizzazione sono, così, rinchiuse migliaia di persone che non possiedono né agibilità economica, né libertà di azione.

Certamente, in questo stato di cose, la preoccupazione è fonte di inquietudine, sino a portare la precarietà diffusa a miscela esplosiva in cui possono configurarsi permanenti ribellioni, vista la paura emergente, ovvero, di contro, una strutturazione di uno stato di polizia che chiude ogni possibilità a democrazie del benessere e della serenità.

Ebbene senza scomodare Orwell o Solgenitsin bisogna partire dalle domande prosaiche di Stefano Folli, laddove si chiede sulla realtà che viviamo da anni «… quanto è larga l’area del malessere sociale e della protesta semi-spontanea, cioè al di fuori delle tradizionali strutture organizzative? E quanto è alto il rischio che queste forme di dissenso sfocino in manifestazioni d’intolleranza?

Certamente se prende piede un dissenso spontaneo non si sa bene dove può approdare, proprio per questo per scongiurare la logica di «Occupy Wall Street» bisogna ripartire riempiendo la politica di contenuti, di visioni riformatrici, che sia capace di ricreare la bellezza dell’impegno e di dare segno tangibile della responsabilità alle persone per bene. Non è utopia, passaggio obbligato che si traduce in una massima, attribuito a Pitagora, che diceva «Nel partire, non voltarti», questo è l’unico consiglio da poter dare a Giorgia Meloni.

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