La destra italiana oltre il sovranismo … lo Stato verso una condizione aggiornata del welfare

di Rino Nania

E’ ora di rintracciare soluzioni per le criticità e definire nuove armonie

Credo che l’equivoco sorga nella necessità giornalistica di etichettare una parte, in questo caso politica, per semplificare il messaggio, più o meno vero, sul suo conto. Oggi il sovranismo viene inteso in maniera malevola, ossia come se si parlasse di una interpretazione chiusa ispirata da una mente prigioniera intessuta e contenuta in un alveo ristretto, autarchico da vivere in solitudine. Purtroppo per chi lo pensa, tale definizione non corrisponde a verità.

La Treccani prova a certificare il sovranismo come «la posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovranazionali di concertazione». Tuttavia la definizione non riesce nell’intento, laddove vorrebbe classificare il sovranismo, come una sorta di redivivo nazionalismo, reazionario e retrivo.

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Provo a declinare una corretta interpretazione, partendo da Federico Caffè, che certamente non può ritenersi intellettuale di destra, ma pone mente a tutta una serie di dinamiche che trova in un territorio nazionale esito e collocazione di contrapposizioni e conflitti e quindi anche di tentativi di sintesi risolutive che dovrebbero rimarcare il cammino comune in un percorso che vede l’umanità tentare di perseguire obiettivi di benessere collettivi.

Federico Caffè è lucido nel dire che «il principio vitale di un piano democratico consiste appunto nel suscitare nell’intera collettività il senso di questo comune proposito morale [il benessere della collettività; n.d.c.]. Nessuna meta, ma una direzione; nessun piano definito una volta per tutte, ma la conscia selezione di piani successivi. Opera […] che si attua in base ad astratti principi filosofici e in funzione esclusiva di dati tecnici e statistici, ma in vista delle aspirazioni e delle emozioni degli uomini comuni.»

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Caffè non si limita a osservare ciò che accade, come avviene oggi sul gas, che si qualifica e configura nel fallimento di mercato, ma tende ad evidenziare che in queste condizioni lo Stato è chiamato, doverosamente, ad intervenire per riequilibrare il disagio diffuso. Ebbene la sua ricerca tende ad individuare le misure atte a procedere verso una «civiltà possibile» e si contraddistingue per dare senso ad una cultura concretamente riformatrice.

In questo quadro la destra italiana può spingere lo Stato a rivivere una condizione aggiornata del welfare, affinchè si possano rintracciare soluzioni per le criticità e definire nuove armonie attraverso un impianto solidaristico. E dove Caffè definisce il suo ruolo nelle condizioni date, ovverosia che il compito dell’intellettuale, come lo intende lui, «… è quello di indicare un modello alternativo e di dimostrare che si tratta di un modello possibile.»

Lo Stato alla maniera della destra può fornire un correttivo ove interviene in questa cornice europea che, come declinata negli ultimi anni, si profila come soggetto generatore di diseguaglianze, laddove cogenti garanzie finanziarie e protettive vengo predisposte per la politica di Francia e Germania senza essere in grado di limitare la pirateria speculatoria dell’Olanda. Per cui la destra italiana deve rispondere alle presenti evidenti criticità per il mancato perseguimento di un «ordine» complessivo.

Questo impegno deve appalesarsi con specifico riferimento all’Europa, vissuta ed operativa in questa maniera, quando ha stabilito un vincolo esterno, anziché dare l’idea di un benessere da condividere. Qui bisogna tornare a ridefinire lo stare insieme nell’Europa modificando radicalmente quel «vincolo esterno» tra gli stati componenti, in cui una realtà disomogenea fa scorgere stati di serie A e stati di serie B.

Ecco perché risulta oggi necessario un momento di rinegoziazione nel costituire nuovi parametri che siano utili a impiantare un’Europa solidale, in cui la competizione non sia lo spauracchio per modelli di un’economia vista come scelta crudele, ma come sintesi tra valori ed elementi econometrici da combinare all’insegna dell’equità e della giustizia, che sia capace di sgombrare il passaggio da astrattezze e speculazioni.

É tempo per la destra italiana di vivere questa sfida con il consapevole scopo di organizzare un nuovo stato di benessere senza lasciare spazio alle piraterie furbe che mirano solo a compiacimenti opportunistici, senza prendersi la briga di diffondere soddisfazioni. Rassegnare, così, questi momenti di riflessione serve per organizzare riforme vere, affinchè si possa seminare il convincimento che il cambiamento sia praticabile in una «civiltà possibile».

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