L’azienda aveva già annunciato di voler arrivare a un organico di 250 dipendenti
Dopo un rallentamento causa Covid e grazie soprattutto agli ammortizzatori introdotti durante l’emergenza, ha ripreso forza la vertenza Jabil di Marcianise (Caserta), partita nel 2019 e costata già 250 licenziamenti. Come annunciato nei mesi scorsi, la multinazionale, che ha ora 440 dipendenti, ha deciso ulteriori 190 esuberi per arrivare ad un organico di 250 addetti, che dovrebbe essere poi quello definitivo. Non si tratta di un fulmine a ciel sereno, ma di un passo atteso già da tempo e rinviato per la pandemia.
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L’azienda dell’elettronica, nei vari piani industriali presentati, aveva già annunciato di voler arrivare ad un organico di 250 dipendenti, ritenuto un livello in grado di garantire la realizzazione delle commesse di lavoro.
Jabil: «Necessario mettere in sicurezza lo stabilimento di Marcianise»
In una nota la Jabil spiega oggi di aver già comunicato «a tutte le parti interessate l’avvio della procedura di licenziamento relativa a 190 lavoratori del sito di Marcianise. Questa scelta, che è difficile ma obbligata, è determinata dalla necessità di mettere in sicurezza lo stabilimento di Marcianise, assicurandone la sostenibilità economica così da poter salvaguardare i 250 posti di lavoro rimanenti. Jabil Circuit Italia si è costantemente adoperata per il raggiungimento di una soluzione che fosse il più indolore possibile, riconoscendo l’impegno dei dipendenti».
«Tale atteggiamento dell’Azienda si è innanzitutto concretizzato nella promozione di processi di reimpiego dei lavoratori, in stretta collaborazione con il Governo e con l’assunzione da parte della stessa Jabil, con senso di responsabilità, di un oneroso impegno finanziario. Inoltre l’Azienda, durante l’intera fase di emergenza Covid, aveva revocato, in accordo con i Ministeri coinvolti e le organizzazioni sindacali, i licenziamenti già comminati ai lavoratori in esubero. Il deterioramento delle condizioni globali di mercato non consente all’Azienda di attendere oltre, rendendo inevitabile l’avvio della procedura di licenziamento per i 190 lavoratori in esubero del sito di Marcianise».
Nella nota la Jabil fa riferimento ai processi di reindustrializzazione che hanno interessato i dipendenti licenziati negli ultimi anni, riassunti in aziende che, in base ad accordi presi con Ministeri, Regione e sindacati, avrebbero dovuto produrre nel Casertano o al massimo nella confinante area industriale di Caivano-Pascarola, nel napoletano.
Il reimpiego degli addetti licenziati
Per consentire il reimpiego dei propri addetti licenziati, la Jabil ha anche pagato sostanziosi incentivi tanto ai lavoratori quanto alle stesse aziende che li hanno riassunti. Ma il processo di reindustrializzazione non è mai davvero decollato: 23 ex Jabil sono finiti in Orefice, azienda sarda che doveva stabilire una sede nel Casertano, ma dopo aver fittato un capannone, il management ha deciso di trasferire gli addetti in Sardegna, e in seguito al rifiuto di trasferirsi, li ha licenziati.
Il grosso degli ex Jabil, circa 250, sono passati in Softlab, azienda informatica con varie sedi in Italia e in Terra di Lavoro a Caserta e Maddaloni; ma ad ora sono tutti in cassa integrazione e appena il 15 settembre scorso hanno protestato con un presidio a Napoli per un ritardo nello stipendio di agosto, dopo che già a luglio si era verificato lo stesso problema.
C’è poi l’operazione Tme, azienda di Portico di Caserta fondata da un ex Jabil, che ha creato con Invitalia, società del ministero dell’Economia, una Newco che dovrebbe assorbire proprio i quasi 200 lavoratori che Jabil ha appena deciso di licenziare. Nel marzo scorso i lavoratori Jabil diedero parere favorevole con un referendum interno al progetto di Tme, che ora, con il licenziamento dei 190 addetti da parte della multinazionale a stelle e strisce, dovrebbe dunque concretizzarsi.
Molto critici i sindacati. «Questo territorio non si può permettere licenziamenti – dice il segretario della Fiom-Cgil di Caserta Francesco Percuoco – le istituzioni devono garantire una prospettiva industriale e occupazionale senza proporre progetti di reindustrializzazione che non vengono adeguatamente attuati e monitorati».