L’impertinenza del potere furioso di fronte al sublime della democrazia

Se assistiamo inerti ai processi che si svolgono sotto i nostri occhi, il declino e lo svuotamento della democrazia sarà inevitabile

Lo scollegamento della politica rispetto alla società nel suo ininterrotto divenire mette in luce figure come Enrico Letta, che si assume le vesti di un redivivo tecnocrate, formatosi nell’illuminista Parigi, tendendo a nascondersi dietro una maschera post-democristiana. Il laicismo di Letta è la prova lampante di come il venir meno del sacro abbia portato alla profanazione della politica specchio di una secolarizzazione spirituale e culturale.

Così la perdita della sacralità della democrazia sta conducendo alla eliminazione di concetti come voto democratico, di governabilità munita di consenso e paradigma valoriale ricco di libertà, partecipazione popolare e bellezza delle istituzioni che ascoltano i bisogni della gente.

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Una democrazia senza visioni rispettose delle diffuse necessità (lavoro, dignità, solidarietà) diviene una versione incapace di dare regole al punto da svuotare la funzione legislativa, sì da negare di rappresentare le leggi della natura umana in chiave di resistenza sublime contro la furia del potere prepotente.

Beh … in questo scorcio di storia una lettura aderente alla realtà evidenzia la differenza tra crisi e passaggi. La crisi segna un declino inevitabilmente vocato alla fine della storia: una sorta di effetto domino che fa crollare la catena di relazione e determina la perdita di speranze e della percezione di una diffusa impotenza ad intraprendere nuovi percorsi riformatori.

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La coniugazione tra diritti e doveri

Invece i passaggi segnano una trasformazione, l’attraversamento di una esperienza che può consentirci di meglio assortire mezzi e modi per cogliere nuove opportunità ed ottimizzare la coniugazione tra diritti e doveri. Certamente la distinzione non è fondata su automatismi. Se assistiamo inerti e senza memoria ai processi che si svolgono sotto i nostri occhi, il declino e lo svuotamento della democrazia sarà inevitabile.

Qui bisogna per un frangente soffermarsi e come sottolinea Luciano Violante sulla qualità della democrazia che poggia sia sulla necessità di prevedere diritti, ma anche doveri. Diffatti una democrazia senza diritti e doveri resta in balia degli egoismi individuali e dei conflitti istituzionali. E dice bene Violante laddove auspica di riprendere il concetto di «dovere» affinché si possano rendere concreti i diritti e per immettere forza morale nella democrazia partecipata da coscienze responsabili.

Da questo dato tangibile si assume una ulteriore proiezione, laddove risulta necessario nel contesto istituzionale applicare il principio di reciprocità, che in politica, deve portare al riconoscimento tra diversi, affinchè tutti abbiano un’adeguata formazione ed uguali possibilità.

Il possesso di tali condizioni determina qualità nello stare assieme, nel confronto che deve presiedere tra le relazioni e, soprattutto, un’attenuazione dei conflitti sociali. Ogni ulteriore negazione del riconoscimento reciproco genera un’erosione pericolosa degli spazi democratici, il rafforzamento della tendenza ad ampliare le diseguaglianze e, quindi, ad una esasperazione che potrebbe portare ad un disordine sociale fuori controllo.

La democrazia per superare i conflitti

L’esempio della Meloni, durante il comizio di Cagliari, è la dimostrazione che laddove la politica, nonostante la differenziate posizioni culturali, ascolta. Quando il giovane, Marco Marras, salito sul palco della manifestazione dove stava per parlare la leader di FdI, ha potuto interloquire senza violenza con la Meloni si è avuta la rappresentazione plastica di come la democrazia serva a superare i conflitti, sia un sistema che può dare garanzie e regole alla discussione pubblica, per cui va rafforzata con una maggiore partecipazione e con una maggiore diffusa consapevolezza.

Così, vivendo un cambiamento d’epoca, segnato dalla crescita della crisi e da una conseguente e necessaria revisione della globalizzazione e con una massiva digitalizzazione, bisogna prendere atto che le politiche pubbliche dei diversi Stati vanno riformate radicalmente, laddove, soprattutto nella nostra Europa, tali politiche sono interdipendenti.

Ebbene rispetto alle grandi migrazioni che hanno messo in crisi il senso di identità di milioni di persone e alla quarta rivoluzione industriale che ha mutato i processi produttivi e le relazioni sindacali, facendo crescere le diseguaglianze, nonchè alla tendenziale sfiducia nei confronti delle élites bisogna seminare una nuova cultura politica per sostenere, orientare e rafforzare la democrazia, all’insegna del confronto collettivo e della solidarietà.

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