Vesuvio: vigilanza e ‘occhi elettronici’ contro incendi

Il direttore dell’Ente Parco fa il punto sulle strategie di prevenzione

Presidi di Vigili del Fuoco, telecamere a raggi infrarossi per visione notturna, piantumazione di specie arboree autoctone nei luoghi incendiati cinque anni fa. Stefano Donati, direttore dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio fa il punto sulle strategie di prevenzione agli incendi boschivi nel periodo estivo.

A partire dal 2018, grazie ad una convenzione con i Vigili del Fuoco, vi sono due presidi nel territorio del Parco, dislocati sui due versanti: sono due squadre di cinque uomini ciascuna, con automezzi e sistemi di primo intervento. ”Con questi presidi otteniamo una notevole tempestività di intervento, circoscrivendo quasi sempre gli incendi ai focolai iniziali. Inoltre sul territorio opera il Reparto Carabinieri Parco del Vesuvio, forte di una trentina di uomini, e il reparto carabinieri Biodiversità  di Caserta, con un’altra decina di effettivi tra militari e operai” spiega Donati ”Il Piano antincendio boschivo, inoltre, prevede l’aggiornamento continuo delle carte della vulnerabilità  e della pericolosità agli incendi, così da sapere in anticipo quali aree tenere sotto maggiore osservazione. Stiamo anche sviluppando un progetto, finanziato dal Ministero della Transizione Ecologica, per l’utilizzo di dati satellitari e sensori, per monitorare in continuo la temperatura e l’umidità al suolo”.

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Gli ‘occhi elettronici’ inoltre consentono di avere un monitoraggio capillare sulle aree protette. ”Tutto il perimetro del Parco è oggi presidiato da un sistema di videosorveglianza gestito da nove punti di dorsale wireless, forte di 32 telecamere (17 fisse e 15 motorizzate) alcune delle quali a infrarossi per visione notturna, e di dieci lettori targa. Il sistema è gestito dal reparto carabinieri Parco, a cui è stato dato in dotazione anche un drone per attività  di sorveglianza e indagine”.

Uno degli obiettivi è prevenire i drammatici incendi del luglio 2017 e far rivivere le zone date alle fiamme. Per questo motivo, spiega Donati, ”abbiamo definito, con il supporto del Dipartimento di Agraria dell’Università  Federico II di Napoli, una metodologia per la rinaturalizzazione delle aree incendiate, senza interventi intensivi di riforestazione, ma con messa a dimora, con distribuzione casuale, di ‘isole’ delle specie tipiche dell’area vesuviana, autoctone e resilienti agli incendi. Questo consente di accelerare i processi naturali di rivegetazione, già  in corso. Per ora abbiamo messo a dimora oltre 10mila piante con piccoli interventi finanziati da aziende con progetti di responsabilità  sociale di impresa, interessando circa quattro ettari. Stiamo per appaltare due grandi progetti da 40 ettari ciascuno, finanziati dal Ministero della Transizione Ecologica”.

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A cinque anni di distanza dai gravi incendi, il Parco ha dimostrato una eccezionale capacità  di riprendersi. ”E’ la cosiddetta resilienza, che in ecologia è un termine molto specifico nel senso che la vegetazione ha ripreso con grande forza anche in maniera assolutamente naturale” conclude Donati ”non è necessario che a un tot di ettari bruciati corrisponda un tot di ettari riforestati. L’importante è vigilare e intervenire nelle aree più colpite e siamo in grado di farlo per gli studi che abbiamo fatto con il Dipartimento di Agraria e assicurare un supporto a quello che la natura sta già  facendo sua sponte”.

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