Georgia Meloni e i patrioti, giustamente, vogliono contare di più nel centrodestra. E non ha tutti i torti. Fratelli d’Italia non è il primo partito della coalizione, l’unico – dell’intero arco politico nazionale – che dalla nascita è andato sempre crescendo, elezione dopo elezione, indipendentemente dal tipo. E le regionali in Emilia Romagna e Calabria di domenica 26 gennaio scorso lo hanno ancora una volta ribadito.
La coerenza premia i ‘patrioti’ e la Meloni,
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Salvini e Berlusconi lo riconoscano
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Il suo partito – Salvini e Berlusconi, farebbero bene a riconoscerlo – è stato sempre, un asso portante e coerente del centrodestra. A differenza loro, che, invece, qualche volta, si sono lasciati irretire ed hanno appoggiato inziative fallimentari, nate con con l’obiettivo di depotenziare l’allenza di centrodestra. Mi riferisco – probabimente lo avrete già capito – al governo tecnico, presieduto dal professore bocconiano, Mario Monti, nato per un ricatto dell’Ue e delle Agenzie di Rating che, manipolando i mercati finanziari fecero esplodere a livelli topici il differenziale Btp-Bund. Costringendo, così, Berlusconi a rassegnare le dimissioni da premier, e – pur avendo riconosciuto che quell’esecutivo, imposto da Ue, mercati e dall’allora Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, rapprentava una ‘sospensione della democrazia’ – a sostenerlo per evitare il ricorso alle urne anticipate. Ma anche a quello dell’incomptenza assoluta, il Conte 1, partecipato da M5s e Lega, nato sullo stesso diktat europeo ‘no’ al centrodestra (che pure come coalizione aveva vinto le ‘politiche’ ndr), trasformatosi, poi nel ‘no’ a Salvini, con il Conte bis. All’indomani della crisi ferragostana.
In entrambi i casi, per coerenza e rispetto del mandato ricevuto dagli elettori, la Meloni e Fratelli d’Italia si sono guardati bene dall’aderire. Anche se, comunque, hanno continuato a lavorare per l’unità del coalizione, contribuendo dall’interno alle giunte regionali di centrodestra, ma facendo sentire il proprio dissenso, ai governi centrali – pur se partecipati da forze di centrodestra – per le iniziative in contrasto con gli interessi del Paese e, di contro, il proprio sostegno a quelle a favore. I cittadini, evidentemente, hanno capito. E i risultati delle elezioni regionali, in Umbria, ma anche quelle precedenti, lo dimostrano.
Perché il Sud non sia più “mezzo” è ora della macroregione
A questo punto, però, il centrodestra deve fare un passo avanti sul piano programmatico. Il patto antinciucio, può essere un’idea ma non basta. Agli italiani bisogna dare di più: un progetto programmatico che non sia la solita elencazioni di spot e luoghi comuni che si sentono riproporre ormai da decenni, ma cose concrete e in grado di dare l’idea del Paese che s’intende costruire. Ancora di più, bisogna assicurare al Sud – che da 157 anni deve contentarsi del ruolo di ‘cornuto e mazziato’: quotidinamente depredato delle risorse a lui destinate, per investirle altrove, eppure, costantemente, accusato di sperperare quelle dgli altri – che anche per lui qualcosa è cambiato.
E il primo passo in questo senso può essere rappresentato dal referendum istitutivo della Macroregione Autonoma dell’Italia del Sud, al quale la Consulta Regionale per le Autonomie della Campania, ha già dato il via libera agli ‘Stati generali del centrodestra’ previsti per dicembre a Napoli, potrebbero essere l’occasione ideale per discuterne. Ma anche per chiarire a Salvini che lui è il leader, e non il ‘dominus’ – per cui non può pensare di condizionare l’autonomia di scelta dei candidati, anche a governatore, da parte degli alleati Berlusconi e Meloni – del centrodestra e le questioni dello sviluppo del Sud deve affrontarle con i meridionali. E, soprattutto, senza ambiguità, lingua biforcuta e con rispetto. Il successo delle coalizioni, consiste soprattutto nella capacità del leader di sentirsi non ducetti, bensì tutti «primo fra uguale».
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