Liberarsi dalle paure e dagli inganni di una finta modernità per liberarsi, una volta per tutte, di un ‘nuovo’ privo di valori
Con le parole di Sylvia Plath si riesce a sintetizzare lo stato mentale e psicologico della destra del recente passato, che cerca di affrancarsi di una certa sudditanza per non farsi deridere come «fascista» e riesce solo nello scopo di compiacere gli altri disconoscendo le proprie radici: «Ho una voglia disperata di piacere agli altri. Sono passata attraverso un lungo periodo di impopolarità imbarazzante, consapevole. Anche se adesso potrei essere definita estroversa, porto ancora i segni del mio vecchio complesso di inferiorità, che ogni tanto riemerge».
Questa è la dimensione che vive oggi la destra facendosi di volta in volta per ignavia e pigrizia aggettivare come estremista, populista, insomma brutta e cattiva sempre e comunque. Questo accade perché nonostante gli anni trascorsi, le tante esperienze attraversate, i tantissimi risultati ottenuti si pensa ossessivamente di essere stati e di rimanere come figli di un dio minore che non riesce ad andare oltre «i ragazzi della via Paal», ovverosia quelli che registravano nello scontro la propria dignità, che vivevano nel coraggio di dire NO, di non chinare il capo di fronte all’arroganza.
Ma in questo tempo, carico di passaggi epocali ed interessanti, l’esserci della destra oggi è racchiuso nella necessità di esprimere intelligenza fattiva e desiderio di portare a compimento un progetto non solo ideale, ma anche un ruolo da interpretare come un rifiuto assoluto dell’accidia.
Il male oscuro della destra
Sì, forse il male oscuro della destra oggi è proprio quello di voler vivere e/o rimanere nella condizione di una sorta di atavico complesso che la rende sterile ed immobile, che la mantiene quale entità astratta che non sa mai dove e come convertire il sapere culturale e professionale posseduti in una realtà su cui lasciare traccia di sé.
Certo le mode sembrano imporre modelli in cui bisogna tollerare le logiche lgbt, eppure noi ancora siamo legati alla famiglia, con figli e valori che rafforzano lo stare insieme solidale ed affettuoso. Nonostante viviamo un tempo in cui i sentimenti tristi sono solo il frutto avvelenato e disperato di pifferai che vogliono travolgere la serenità e consentire alle barbarie di impadronirsi di una umanità, ispirandole una spensierata corsa verso l’abisso.
Ma di fronte alle mode la destra non può e non deve piegare il capo per dignità e lungimiranza, perché alla destra appartiene la tradizione che ha bisogno di un futuro e soprattutto ha bisogno non solo della famiglia, ma anche del senso del sacro e della patria come una dimensione da vivere in una comunità che si rivede nelle istituzioni, ritrovando una fiducia, fatta di linguaggio e sentimenti comuni, utile a garantire, in un diffuso e radicato anelito di sussidiarietà, vincoli di reciprocità e coesione sociale.
Ebbene bisogna partire da qui per diradare le nubi dal nostro cielo, per rigettare e mandare al mittente il fatuo canto delle sirene e il variopinto e multiforme mondo dei desideri, per determinare qualcosa di diverso e concreto in cui rendere la presenza umana significativa in cui si possa radicare l’armonia.
Respingere tutte le attenzioni interessate
Rendere tutto questo pratico, serio e rigoroso significa pure respingere tutte quelle attenzioni interessate che vogliono, da sinistra, che la destra dia corpo a qualcosa a modo suo, ovvero che sia lo specchio dei desideri della sinistra. Oggi Enrico Letta, facendo sponda a Giorgia Meloni, prova, difatti, a ricercare in lei il ritratto dell’avversario comodo.
Credo che questo è il momento in cui la destra possa giocarsi questa sfida perché è matura e forte non solo, in una logica di coalizione, per poter vincere una competizione elettorale, ma soprattutto per imprimere a questa trasformazione in atto un passaggio ulteriore quello di costruire un’antropologia aggiornata che, mutuando le parole Florenskij, deve portare ciascuno, senza furbizie di sorta a «Non tradire mai, le tue più profonde convinzioni interiori, per nessuna ragione al mondo. Ricorda che ogni compromesso porta a un nuovo compromesso, e così all’infinito».
Questo rifiuto al compromesso, visto come metodo, rende la destra in grado di riscattarsi, di sciogliere i nodi dei propri percorsi e di rappresentare al meglio l’attuale contesto. Senza compromessi ci si libera l’anima dalle paure e dagli inganni di una finta modernità per affermare, una volta per tutte, il buonsenso secondo un riconquistato principio di realtà. Anche perché aprirsi al mondo non significa snaturarsi.