Rosalino Pilo dalla rivolta di Palermo all’esilio di Genova per l’indipendenza della Sicilia dai Borbone

di Emanuele Merlino

Nell’800 il senso di Nazione divenne sempre più forte. Dall’idea, diciamo letteraria, di un’Italia unita si passò alla lotta. Cominciarono così quelle guerre per l’indipendenza che noi chiamiamo Risorgimento e che, con altri nomi, coinvolsero gran parte delle nazioni d’Europa la cui volontà era chiara: avere finalmente una nazione unita e indipendente. A questo si affiancavano formulazioni politiche diverse: c’era chi pensava a una federazione, chi alla repubblica, chi «qualunque governo purché l’Italia sia». Certamente gran parte del Risorgimento fu figlio del centro-nord Italia ma anche al sud questa volontà fu forte anche perché l’idea che il Regno delle Due Sicilie  fosse la «patria del benessere e della ricchezza» ancora non era stato «inventata». In fin dei conti siamo in un tempo di cui Carmine Crocco, forse il più famoso dei briganti, diceva: «Disperazione e miseria sono con noi. La morte ed il carcere è serbata ai miseri! Eppure abbiamo un padrone in cielo, Iddio, un signore in terra, il Re: in quei tempi avevamo Francesco II per Re, Maria Cristina per Regina; i santa ed il Re buono dei Napoletani; ma essi pensavano alle feste ed alla gloria, mentre, noi morivamo di fame». Carmine Crocco aveva qualcosa in comune col personaggio di questo articolo. Entrambi furono Garibaldini.

Rosalino Pilo nacque a Palermo il 15 luglio 1820 da una famiglia di nobili. Il padre era il Conte di Capaci.

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Prima di raccontarlo voglio usare per lui le parole che Nello Rosselli dedicò al suo amico Carlo Pisacane perché, in fondo, sono perfette anche per questo siciliano forse troppo a lungo dimenticato: «Il viandante ansioso di varcare il torrente getta pietre una sull’alra, nel profondo dell’acqua, poi posa sicuro il suo piede sulle ultime, che affiorano, perché sa che quelle scomparse nel gorgo sosterranno il suo peso. Pisacane [Pilo], anche lui, pareva sparito nel nulla. Ma sulla sua vita, sulla sua morte poteva posare, e posa, uno dei piloni granitici dell’edificio italiano».

Nel 1848 fu tra gli animatori della rivolta di Palermo che portò all’indipendenza siciliana dal Regno dei Borbone. La rivolta siciliana nacque per molti motivi – voglia d’autonomia, povertà, il senso d’oppressione causato dalla preminenza che aveva Napoli -:
Siciliani! Il tempo delle preghiere inutilmente passò, inutili le proteste, le suppliche, le pacifiche dimostrazioni…. Ferdinando tutto ha sprezzato, e noi Popolo nato libero, ridotto nelle catene e nella miseria, tarderemo ancora a riconquistare i nostri legittimi diritti? All’armi, figli della Sicilia: la forza di tutti è onnipossente…. Il giorno 12 gennaio 1848, all’alba, segnerà l’epoca gloriosa della nostra universale rigenerazione. Palermo accoglierà con trasporto quanti Siciliani armati si presenteranno al sostegno della causa comune, a stabilire riforme, istituzioni analoghe al progresso del secolo, volute dall’Europa, dall’Italia e da Pio. – Unione, ordine, subordinazione ai capi- rispetto a tutte le proprietà. Il furto vien dichiarato delitto di alto tradimento alla causa della patria, e come tale punito. Chi sarà mancante di mezzi ne sarà provveduto. Con giusti principi, il Cielo seconderà la giustissima impresa. Siciliani all’armi

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Nei circa 16 mesi in cui la Sicilia fu indipendente, Pilo fu tra i promotori della nuova carta costituzionale, tra le più avanzate per l’epoca, e animatore del giornale “La Democratica” oltre a essere il Direttore delle artiglierie di Palermo.
A chi avrebbe voluto dare la corona il parlamento siciliano? A Ferdinando Alberto Amedeo di Savoia. Il rifiuto di questi fu motivato dall’impegno nella prima guerra d’indipendenza.
Evidentemente se le cose fossero andate diversamente non ci sarebbe stato bisogno dell’Impresa dei Mille perché, anche se Ferdinando Alberto Amedeo di Savoia non era Re di Sardegna, così le sorti della Sicilia si sarebbero unite molto prima al resto d’Italia,
Ma poi la Sicilia venne bombardata – la distruzione di Messina da parte di Ferdinando II gli varrà l’appellativo di “Re Bomba” – e l’esperienza per Pilo e gli altri si conclude con l’esilio.
Finisce a Genova. La città dei rivoluzionari democratici e socialisti.
E là conosce Mazzini e tutti gli altri.
Anche per Pilo la lotta per l’indipendenza siciliana, e italiana, si sposa con l’appoggio a tutti i movimenti indipendentisti europei.
È del 1853 questa lettera di Lajos Kossuth

Londra 1 luglio 1853

La solidarietà della causa della libertà deve riunire come fratelli tutti coloro che si sentono oppressi, e li chiama ad aiutarsi come fratelli. Io sono animato da uno di questi principi e per questi sono pronto ad agire tutta la vita. Devo ancora dire che oltre a questo principio di fratellanza (abbastanza forte già da solo) c’è ancora un sentimento molto vivo di simpatia, di stima e di affetto particolare che mi lega alla Sicilia. Io l’ho vista soltanto da lontano a bordo della fregata Mississipì una notte dallo stretto di Messina, ma io la amo la vostra Sicilia; io credo che quando i tuoni della libertà esploderanno in Europa, risveglieranno un’eco potente in Sicilia; è anche possibile che sia ancora la Sicilia ad avere la gloria di aver fatto esplodere il primo colpo. Chi può dirlo? Ancora oggi un povero esiliato, privato dei mezzi, forte soltanto della mia volontà incrollabile, che mi impedisce di curvarmi sotto il peso delle mie sfortune, domani forse potrò aiutare effettivamente la Sicilia e offrire a voi patrioti della Sicilia ciò che vi manca per assicurarvi la possibilità di vittoria. Tale è la condizione del mondo e tali sono le mie relazioni. Io non dico che sia certo, ma dico che è possibile. Vorrei dunque essere messo in contatto diretto con i patrioti della Sicilia per scambiarci i nostri punti di vista per sapere se la mia cooperazione è richiesta, per vedere se la mia cooperazione può essere loro utile e per far sapere a loro in seguito ciò che io penso di poter offrire. Il colonnello Türr mi ha detto che grazie al vostro intervento che questi rapporti confidenziali potranno essere intrattenuti. È a tal parere che io vi prego di voler bene attribuire queste linee. Voi ne metterete a parte i capi del partito nazionale della Sicilia se lo riterrete opportuno; altrimenti brucerete questo biglietto. E loro a loro volta sapranno cosa fare per entrare in rapporto diretto con me, se vogliono onorarmi della loro fiducia; se no mi faranno almeno la giustizia di guardare queste aperture come una prova della mia stima e della mia simpatia. Saluti e fratellanza.

Kossuth è uno dei principali Eroi ungheresi. Lottava per l’indipendenza dell’Ungheria dall’Austria e i patrioti italiani gli devono moltissimo: I servizi che Ella ha resi alla demo­crazia europea in genere ed a quella italiana in ispecie, sono così grandi che Ella può contare sulla stima di ogni italiano che ama la sua Patria.

I protagonisti della Storia non sono mai così romantici come ci piacerebbe immaginare e poi, in effetti, non sempre le élite fanno quello che il popolo vorrebbe ma Rosalino Pilo forse fa eccezione.

Tutta la sua vita è dedicata, fra un rischio e l’altro, all’idea dell’indipendenza della Sicilia. Un indipendenza viatico per l’unione con l’Italia.

Rischiare la vita significa che le proprie idee non sono un modo per fare carriera, sono un esigenza di giustizia. Condivisibile o meno ma comunque stimabile.

Per questo partecipa alle spedizioni di Carlo Pisacane, entrambi decisi a far sollevare la Campania contro i Borbone, ma la sfortuna lo colpisce causandogli un rimpianto che forse non l’abbandonerà più: la prima volta una tempesta lo costringe a gettare in mare le armi destinate all’organizzazione dell’insurrezione facendo, però, in tempo ad avvertire Pisacane; la seconda sbaglia destinazione e non riuscendo a fornire le armi lascia il rivoluzionario in balia di se stesso e a quella morte così ben cantata da Luigi Mercantini: «Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!».

Pensate cosa può aver provato venendo a sapere, da lontano, che Pisacane e gli altri erano stati uccisi anche perché lui non era riuscito a portare le armi. C’è chi si sarebbe arreso invece Rosalino Pilo prende questo dolore come sprone per raddoppiare gli sforzi. Ma dopo questo fallimento è di nuovo tempo d’esilio. Se ne va a Malta, poi a Londra e infine, nel 1860, è clandestino a Genova. Poi, finalmente, c’è una nuova occasione. E una nuova ispirazione dalla camicia rossa. Giuseppe Garibaldi.

Pilo anticipa la partenza dei Mille tornando in Sicilia e organizzando la «guerra psicologica» che, contribuirà alla vittoria. Accende fuochi immensi sulle colline sopra Palermo. Ogni notte i fuochi aumentano. E così i palermitani, e le truppe borboniche, si convincono che i «patrioti italiani» siano moltissimi.

Il 5 maggio dallo scoglio di Quarto, vicino Genova, Garibaldi parte per l’Impresa.
Quando arriva in Sicilia Pilo è al suo fianco e ai suoi ordini.
Sa combattere, vuole combattere. Lo fa.

Dopo la battaglia di Calatafimi – 15 maggio 1860 -, impegna i Borbone in scaramucce avanzando, parallelamente a Garibaldi, verso Palermo.
Ma solo sei giorni dopo, come si legge sulla motivazione per la Medaglia d’Oro al Valor Militare: «Morto sul campo combattendo con valore a San Martino di Monreale il 21 maggio 1860».
Si racconta che poco prima di morire abbia detto: «Io morrò fra poco ma dite ai concittadini che ho dato tutto alla Patria: l’oro e il sangue».

E chissà se lo disse davvero o se sia stata una frase preparata. Ma conta così tanto? In fin dei conti aver rischiato e perso la vita per una causa che si ritiene santa giustifica tutto.

E così di Pilo rimangono strade, monumenti. Forse il ricordo è svanito col tempo eppure, come un fiume carsico che scompare nella terra per poi riapparire improvvisamente molto lontano, il sogno di unità e democrazia di Rosalino Pilo ogni tanto riappare.
Il suo nome, all’anagrafe, era Rosolino ma lui si firmò sempre Rosalino forse per rappresentarsi come una rosa che, con la sua bellezza, rende più bella la terra che la ospita. E anche se poi la rosa è recisa il suo profumo rimane e, all’improvviso, torna per riempirci le narici.
«Precursore nobilissimo di libertà, morto combattendo per la patria addì 21 maggio 1860, il popolo monrealese auspice il Municipio consacrava questo conoscente ricordo, perché la dissimile età non dimentichi quanta religione d’amore di dolore di sacrificio leghi ancora, dopo tante amare delusioni, la generosa anima siciliana all’unità e alla gloria della religione».

*Emanuele Merlino, divulgatore storico, scrittore e autore teatrale. Il suo fumetto “Foiba Rossa”, di cui è ideatore e sceneggiatore, è ausilio didattico per la Regione Veneto. Consulente al Senato e per Rai Storia. Il suo lavoro sulla Grande Guerra è Patrocinato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. E’ presidente del Comitato 10 Febbraio

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