Spiavano ignari cittadini, con 20 euro ‘dirette’ dentro case, palestre e piscine

Nelle case, negli alberghi, negli studi e nelle palestre

Spiavano le persone direttamente nelle loro case, nelle stanze d’albergo, negli studi medici, nei camerini di grandi magazzini e negli spogliatoi delle palestre introducendosi attraverso il wifi nelle telecamere installate per la videosorveglianza.

La Polizia Postale di Milano ha denunciato 10 persone ed eseguito altrettante perquisizioni in diverse città italiane su disposizione della procura di Milano, a conclusione di un’indagine chiamata “Rear Window”.

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Gli investigatori sono riusciti ad individuare i componenti di due gruppi criminali, per uno dei quali si configura l’associazione per delinquere; gli indagati riuscivano ad “introdursi” illegalmente violando la privacy di ignare persone con sofisticati sistemi informatici che permettevano loro di scandagliare la Rete alla ricerca di impianti di videosorveglianza connessi ad Internet. Una volta trovata la linea giusta, gli indagati effettuavano un attacco informatico che consentiva di scoprire le password degli Nvr (videoregistratori digitali a cui vengono collegate le telecamere).

Utilizzavano due gruppi social, uno ‘premium’, dove si potevano guardare immagini, anche di minori, che venivano condivise dagli amministratori, e un altro gruppo ‘vip’ dove – dopo aver ricevuto le credenziali per cifre irrisorie, circa 20 euro – ognuno poteva guardare ‘in diretta’ le immagini di una determinato impianto di videosorveglianza.

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I luoghi virtuali scelti dagli indagati nella speranza di rimanere anonimi erano il social network “ВКонтакте” (“VKontakte”, abbreviato VK, conosciuto come la versione russa di Facebook) e Telegram.

Al termine delle perquisizioni, gli investigatori della Postale di Milano, Napoli e Catania hanno sequestrato 10 smartphone, 3 workstation, 5 PC portatili, 12 hard disk e svariati spazi cloud, per una capacità di archiviazione complessiva di oltre 50 Terabyte. Sono stati inoltre sequestrati tutti gli account social usati dagli indagati e diverse migliaia di euro, anche in criptovaluta.

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