Operaio morto sul lavoro, tre imprenditori condannati in Appello

Gli imputati hanno avuto uno sconto di pena grazie al patteggiamento

Hanno avuto uno sconto di pena in Appello, grazie ad un patteggiamento, tre imprenditori imputati per omicidio colposo in relazione ad un infortunio mortale sul lavoro avvenuto 12 anni fa nell’area industriale di Marcianise (Caserta). La vicenda è quella della morte del tecnico casertano di 58 anni Renato Uccella (risiedeva a Capodrise) e del ferimento dell’ingegnere di Scafati (Salerno) Salvatore Tranchese, allora 33enne.

I giudici della Corte d’Appello napoletana (prima sezione presieduta da Alberto Picardi) hanno condannato a due anni di carcere Mario Paliotto (difeso da Fabio Carbonelli), Ferdinando Avallone (assistito da Raffaele e Gaetano Crisileo) e Vincenzo Podestà (difeso da Stefano Buonocore); i tre imprenditori in primo grado erano stati condannati dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere a pene carcerarie dai tre (Paliotto e Podestà) ai tre anni e mezzo (Avallone).

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La dinamica dell’incidente mortale

L’infortunio mortale sul lavoro avvenne durante un sopralluogo effettuato da Uccella e Tranchese, dipendenti di due società napoletane che progettano pannelli solari (Hagitron e Simec Sistem), alla ditta Bd Bulloneria Dati di Marcianise; i due stavano sul tetto di una cabina elettrica cui avevano avuto accesso tramite una scala interna, quando cedette il solaio della cabina, facendo precipitare al suolo i due tecnici. Uccella morì, mentre Tranchese riportò gravi lesioni.

Un quarto imprenditore coinvolto nella vicenda, il titolare della Ditta Hagitron, Vincenzo D’Elia, è ancora sotto processo a Santa Maria Capua Vetere. La posizione di D’Elia, infatti, era stata inizialmente archiviata su richiesta dell’ex pubblico ministero Donato Ceglie; durante il processo di primo grado agli altre tre imprenditori indagati, il nuovo pm Giuseppe Orso, che non condivideva la decisione del predecessore, ha invece fatto emergere altri elementi a carico di D’Elia, richiedendo al giudice Antonio Riccio l’invio degli atti al suo ufficio per incriminare l’imprenditore.

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