Migliorare l’accesso ai servizi di mobilità delle persone con disabilità
Ma vale davvero, oggi, questo presupposto? I centri urbani, ed i relativi sistemi per la mobilità, sono scomodi per tutti e per molte persone sono addirittura impraticabili. Su questo vi è una convinzione generale al punto che lo scorso Febbraio, con decreto dal Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili e dal Ministro per le Disabilità, si è insediata la Commissione di studio per migliorare l’accesso ai servizi di mobilità delle persone con disabilità.
Tra gli obiettivi della Commissione appare centrale l’integrazione sociale delle persone con disabilità e rafforzare i loro diritti per la fruizione dei servizi di trasporto, in tutte le sue forme di modalità.
Purtroppo, ad oggi, siamo tutti convinti che per migliorare gli spazi costruiti e le nostre città sia possibile utilizzare leggi che esistono da tempo. Facciamo il punto della situazione, anche per fornire un oggettivo aiuto alla «giovane» Commissione.
A partire dal 1971, una serie di provvedimenti, ha sancito impegni ed obblighi per tecnici ed amministratori, anche se in quell’epoca la necessità di quei provvedimenti non era stata ancora assorbita culturalmente. Per questo, fino a poco tempo fa, non si è avuto, o quasi, alcun risultato positivo sul territorio. Negli anni è però notevolmente aumentata, esercitando una pressione sempre maggiore, la somma di tutte le persone che hanno cominciato a capire che questa scomodità era una «scomodità senza senso» e che la «città piena di ostacoli», poteva, e doveva, essere modificata.
Queste pressioni hanno portato alla emanazione di ulteriori Leggi importanti tra le quali la 13/89, il DM 236/89, la 104/92, «Legge quadro sull’handicap» e il DPR 503/96. Attualmente quindi, le disponibilità normative sull’accessibilità ed il superamento delle barriere architettoniche, sono notevoli ma gestite con strumenti inadeguati.
I problemi conseguenti hanno ricadute negative di tipo sociale ed economico, su un’ampia fascia di persone con svantaggi per una ridotta mobilità (60/80 milioni nella Comunità Europea). È necessario, pertanto, invertire la tendenza e potenziare le azioni concrete che attuino le Leggi ed abbiano efficacia per rendere lo spazio costruito, i sistemi di trasporto e il territorio, realmente vivibili da parte di tutti i cittadini. Occorre superare i limiti fin qui dimostrati nel porre decisione e continuità, destinare risorse umane e finanziarie, individuare priorità da affrontare anche sul tema della fruibilità urbana e della mobilità sia in modo generalizzato sia con particolare riguardo per chi ha difficoltà motoria o sensoriale.
La legislazione vigente contempla una serie di norme che tendono ad agevolare la mobilità delle persone diversamente abili con i mezzi di trasporto pubblico. Alle persone diversamente abili il legislatore ha riconosciuto il diritto di muoversi liberamente sul territorio, usufruendo dei servizi di trasporto collettivo alle stesse condizioni degli altri cittadini. Nello stesso modo, anche la materia del trasporto su gomma, tranviario, filoviario e metropolitano è stata disciplinata, nel nostro ordinamento, da una serie di disposizioni legislative e ministeriali.
La «Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate» viene approvata il 5 febbraio 1992 dopo un iter di alcune legislature. Il testo assume il numero 104 e viene pubblicato nel Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 39 del 17 febbraio 1992. I 44 articoli costituenti la norma contengono molte indicazioni previgenti ed alcune nuove disposizioni di rilievo:
– la definizione di handicap;
– i permessi lavorativi;
– nuove regole per l’inserimento scolastico.
Le critiche maggiori ricevute al momento della entrata in vigore si concentrano sull’eccessivo margine discrezionale lasciato alle Regioni ed agli Enti Locali, ma anche sulla limitata copertura finanziaria di tutte le intenzioni espresse.
Secondo l’art. 26, comma 1 (Mobilità e trasporti collettivi) della Legge 104/92 le Regioni sono tenute «a disciplinare le modalità con le quali i Comuni dispongono gli interventi per consentire alle persone handicappate la possibilità di muoversi liberamente sul territorio, usufruendo, alle stesse condizioni degli altri cittadini, dei servizi di trasporto collettivo appositamente adattati o di servizi alternativi». Inoltre, i Comuni devono assicurare, nell’ambito delle proprie ordinarie risorse di bilancio, modalità di trasporto individuali per i portatori di handicap non in grado di servirsi dei mezzi pubblici.
Dall’entrata in vigore della presente Legge le Regioni sono tenute ad elaborare, nell’ambito dei «Piani Regionali di Trasporto» e dei «Piani di adeguamento delle infrastrutture urbane», i «Piani di mobilità delle persone handicappate», da attuare anche mediante la conclusione di accordi di programma ai sensi dell’art. 27 della Legge n. 142 dell’8 giugno 1990.
I suddetti Piani devono prevedere servizi alternativi per le zone non coperte dai servizi di trasporto collettivo e, fino alla completa attuazione dei Piani, le Regioni e gli Enti Locali devono assicurare i servizi già istituiti. I «Piani di mobilità delle persone handicappate» predisposti dalle Regioni devono essere coordinati con i Piani di trasporto predisposti dai singoli Comuni o Province.
Tra le norme volte a garantire l’accessibilità ai mezzi pubblici alle persone disabili, spicca l’art. 24 del D.P.R. n. 503/1996, nel quale viene evidenziato come «sui mezzi di trasporto tranviario, filoviario, metropolitano, devono essere riservati a persone con limitate capacita motorie deambulanti almeno tre posti a sedere in prossimità della porta di uscita»; inoltre:
– alle persone con ridotta capacità motoria è consentito l’accesso dalla porta di uscita, ed all’interno di un’autovettura del convoglio deve essere riservata una piattaforma di spazio sufficientemente ampio per permettere lo stazionamento di sedia a ruote, senza intralciare il passaggio;
– tale spazio riservato deve essere dotato di opportuni ancoraggi, collocati in modo idoneo per consentire il bloccaggio della sedia a ruote;
– nelle stazioni metropolitane devono essere agevolati l’accesso e lo stazionamento su sedia a ruote, anche con l’installazione di idonei ascensori e rampe a seconda dei dislivelli, al fine di consentire alle persone non deambulanti di accedere al piano di transito della vettura della metropolitana.
Oltre alla specifica normativa relativa all’eliminazione delle barriere architettoniche nei servizi pubblici, altri provvedimenti sono intervenuti per agevolare la mobilità dei cittadini diversamente abili con i mezzi di trasporto pubblici. Si ricorda che la Legge 104/92, all’art. 26, impone alle Regioni, alle Province ed ai Comuni di «assicurare la mobilità delle persone disabili e di supplire, con mezzi adeguati, alla carenza o assenza di accessibilità nel Trasporto Pubblico Locale».
Con il Piano in questione, in sostanza, si suggeriscono elementi ed indirizzi normativi al fine di spingere le Amministrazioni locali verso il problema dell’accessibilità della città ed indirizzare la programmazione verso la previsione delle condizioni elementari necessarie per rendere la città fruibile a tutti, oltre il mero rispetto di quanto previsto dalle leggi vigenti in materia (tra cui la legge n. 4 del 2004, riguardante l’obbligo di accessibilità per i siti di pubblica utilità, o la Legge n. 13 del 1989, che introduce l’obbligo, per qualsiasi edificio privato, del rispetto di tre condizioni: accessibilità, adattabilità, visibilità).
È palese che non tutti gli utenti della strada godono degli stessi diritti; esistono infatti categorie di utenze definite «deboli» composte da soggetti diversamente abili, anziani ed altri. Infatti, molte persone con ridotte capacità motorie, visive o uditive, si trovano, purtroppo, ad essere ancora in parte discriminate poiché uno scalino o la larghezza di una porta sono loro di impedimento nelle varie occasioni di vita sociale.
Il «Piano della mobilità delle persone diversamente abili» quindi si indirizza verso l’articolazione di una serie di approcci che permettano un sostanziale miglioramento della qualità degli spostamenti delle utenze deboli attraverso un drastico abbattimento delle barriere architettoniche.
Esempi delle citate limitazioni sono rappresentati da elementi architettonici (parcheggi, porte, scale, corridoi), da oggetti ed arredi (lavandini, armadi, tazze WC), da mancanza di taluni accorgimenti (scorrimano, segnaletica opportuna) o da elementi che possono essere causa di infortuni (materiali sdrucciolevoli, porte in vetro non evidenziate, spigoli vivi…).
Nelle città italiane sono ancora presenti un numero consistente di barriere architettoniche, malgrado l’esistenza delle Leggi che ne impongono l’eliminazione. In ambito trasportistico, e più precisamente nel settore dei servizi, i diversamente abili sono tutelati dall’articolo 27 delle Legge n. 118 del 1971, tramite cui si esprime il principio generale di rendere il servizi di trasporto pubblico accessibili ai non deambulanti. La successiva Legge 384/1978 va a regolamentare i campi e le modalità di applicazione delle disposizioni contenute nella 118/1971.
In sintesi, e per fornire un contributo tecnico alla Commissione da poco insediata, suggerisco l’esigenza (condivisa) di approfondire diversi e fondamentali argomenti tra i quali:
– definizione di apposite «Linee guida nazionali per la redazione dei Piani della mobilità per i diversamente abili»;
– informazione e la formazione ai vari livelli (spot, video, etc.) sulla necessità di pervenire alla «città accessibile per tutti»;
– coordinamento e razionalizzazione delle Leggi e delle normative vigenti, una sorta di riforma con un nuovo disegno di legge, input per una Legge quadro del settore;
– aggiornamento «mirato» rispetto ai diversi settori competenza di Enti e Amministrazioni pubbliche e private;
– individuazione di sistemi di verifica sui finanziamenti pubblici per le nuove opere, restauri o ristrutturazioni;
– predisposizione degli standards, di linee – guida e coordinamento con il Codice della Strada per il rispetto delle normative per gli svantaggi sensoriali ed in particolare, per i non vedenti, tralasciati da decenni di abbandoni;
– approfondimento delle modalità del trasporto pubblico accessibile di tipo ferroviario, automobilistico e marittimo;
– trasporto privato e relative facilitazioni riguardanti i veicoli e la circolazione (contrassegno speciale) con particolare attenzione alla distribuzione del contrassegno degli invalidi ed il monitoraggio degli stessi. Questo è un tema di particolare interesse della nuova Commissione in relazione alla verifica dello stato di attuazione della piattaforma nazionale CUDE (Contrassegno unificato disabili europeo) che consente ai titolari del Contrassegno il transito nelle Zone a Traffico Limitato anche al di fuori del Comune di residenza;
– predisposizione di direttive per la istituzione di servizi di ausilio per le zone pedonali, per persone a ridotta mobilità;
– definizione di appositi Piano di ammodernamento delle fermate del TPL in ambito urbano e delle autostazioni e/o Terminal in ambito extraurbano;
– favorire l’utilizzo dei mezzi di TPL alle categorie protette attraverso la messa in opera di strumenti e tecnologie avanzate;
– incentivare l’acquisto e l’adattamento di veicoli privati per favorire le opportunità di mobilità e trasporto dei cittadini diversamente abili;
– favorire l’utilizzo del self-service assistito per il rifornimento nei distributori dei carburanti;
– incrementare le tariffe di trasporto agevolate per la categoria protetta.
Siamo certi che la nuova Commissione, costituita da esperti del settore, rappresentanti del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, del Ministro per le Disabilità, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci) e dell’Unione delle Province (Upi), entro sei mesi dal suo insediamento porterà sul tavole dei due Ministeri coinvolti anche questi temi, che di fatto propongono «azioni mirate e spunti per eventuali modifiche normative», così come citato nel Decreto interministeriale.
Un piccolo passo per un grande obiettivo.
Restiamo in attesa e propongo il mio supporto, gratuito, così come per i componenti della Commissione.
Ad maiora.