Per altre sei vittime dichiarata la prescrizione
La Corte di Assise di Napoli (seconda sezione, presidente Concetta Cristiano) ha condannato l’imprenditore svizzero Stephan Ernest Schmidheiny a 3 anni e 6 mesi per l’omicidio colposo di Antonio Balestrieri, uno degli operai dello stabilimento Eternit di Bagnoli deceduto a causa di prolungata esposizione all’amianto.
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Schmidheiny è stato assolto per il decesso di Franco Evangelista, mentre per le altre sei vittime il procedimento è stato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione. Lo scorso 2 marzo i sostituti procuratori di Napoli Anna Frasca e Giuliana Giuliano avevano chiesto per il 74enne Schmidheiny una condanna a 23 anni e 11 mesi di reclusione.
«Vergogna, vergogna»: a gridarlo all’esterno dell’aula 116 del nuovo Palazzo di Giustizia di Napoli sono stati alcuni parenti delle otto persone decedute, a causa – secondo la Procura di Napoli – dell’esposizione alle fibre di amianto nello stabilimento Eternit di Bagnoli.
«Una sentenza che lascia l’amaro in bocca soprattutto perché non siamo sicuri che la realtà processuale coincida con la realtà storica, dato il lungo tempo trascorso. Confidiamo nel giudizio di appello nella speranza che si giunga proprio a una verità processuale che dia ragione della realtà storica». Cos l’avvocato Elena Bruno, legale dell’associazione «Mai più Amianto» ha commentato il verdetto che ha escluso il dolo in relazione a otto morti, sei operai dello stabilimento Eternit di Bagnoli, un parente di uno dei lavoratori e di una ottava persona, secondo la procura decedute a seguito delle malattie sviluppate dall’esposizione all’amianto.
Il dibattimento e le tesi di accusa e difesa
Oggi, prima della camera di consiglio, ci sono state le repliche dei pubblici ministeri Frasca e Giuliano, durante le quali sono stati sottolineati i punti che dimostrerebbero la dolosità del reato di omicidio contestato a Schmidheiny, e la sua reticenza nell’affrontare le criticità legate all’esposizione all’amianto. Anzi, secondo i due sostituti procuratori, l’imprenditore svizzero, «per mero fine di lucro», avrebbe addirittura omesso di informare lavoratori, familiari e cittadini circa i rischi, addirittura mettendo in piedi un processo di disinformazione, «…per rendere più difficile per le vittime la difesa».
Alle discussioni dei due magistrati sono seguiti gli interventi dell’avvocato di parte civile, Laura D’Amico (legale dell’associazione familiari vittime dell’amianto), per la quale l’imputato «ha accettato l’alto prezzo da pagare, la morte, per soddisfare il raggiungimento del suo obiettivo primario: il profitto».
Alle tesi sostenute dagli inquirenti e dall’avvocato D’Amico, sono seguite le repliche dei legali dell’imputato, gli avvocati Astolfo di Amato e Carlo Alleva, secondo i quali il loro cliente, diventato responsabile degli stabilimenti italiani Eternit a partire dal 1976, non aveva a disposizione alcun dato per stabilire il livello di pericolosità del cemento amianto: «Anche le istituzioni – ha detto Alleva – fino al momento in cui è stata sancita la pericolosità della fibra, erano convinte che, al di sotto di una certa soglia, poteva essere lavorata».