A proposito di «Non esiste una sola Ukraina», semplificazione e imprecisione

di Salvatore Del Gaudio*

Anche in Italia, storicamente e geograficamente esistono differenze culturali, linguistico-dialettali e identitarie tra le varie regioni

Non avrei mai immaginato di dover esprimere un giudizio critico su un articolo di impronta divulgativa e non di stampo accademico. Eppure se sull’analisi strettamente geo-politica – seconda parte del pezzo – si scorgono spunti di riflessione sui quali si può più o meno concordare o dissentire ed esiste spazio per un dibattito legittimo, la pur succinta analisi storica della prima parte mi lascia profondamente perplesso e certamente non indifferente in un periodo in cui ognuno è chiamato a prendere una propria posizione riguardo alla guerra in atto. Mi limiterò qui di seguito e in via eccezionale (per mancanza di tempo) a esaminare solo alcuni dei punti focali discussi da Michele Rallo.

Mai mi sarei atteso, neppure dal più convinto e audace sostenitore della politica pro-russa, una tale semplificazione e, talvolta imprecisione, nella pur sintetica presentazione degli antefatti storici che hanno contrassegnato la formazione dell’Ucraina dal medioevo all’età moderna e contemporanea.  Indubbiamente concordo con l’autore del saggio che non è facile riuscire a illustrare in poche righe oltre un millennio di storia nella sua complessità.

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Tuttavia mi preme ribattere, anche senza approfondire, per ragioni di spazio, aspetti della storia recente (XX secolo), su alcuni punti cruciali, oltreché su questioni terminologiche. Per il resto rimando agli studi canonici usati in tutte le principali università del mondo sulla storia ucraina e, più in generale, sulla storia dell’Europa Orientale. Per brevità e perché non si tratta di una recensione accademica, né risparmio l’elenco al lettore.

Innanzitutto faccio osservare che oggigiorno è metodologicamente improprio parlare di “russo” con riferimento al periodo collocato tra l’alto e il basso medioevo (VIII-XIV secc.) e agli insediamenti slavi orientali che costituirono il Principato o Rus’ di Kyiv, a meno che non ci si riferisca esplicitamente alla storia della Russia propriamente detta e si adotti un punto di vista strettamente russocentrico.

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Generalmente si usano i termini “slavo orientale”, “abitante della Rus’” o, il meno frequente neologismo, “ruso” (con una sola <s> adattamento italiano di rus’kyj sul modello dell’inglese “Rusian”, suggerito da chi scrive e accettato da alcuni studiosi slavisti). L’aggettivo sostantivato russo (russkij), infatti, può trarre in inganno e indurre ad associare questi popoli, in cui l’elemento slavo divenne prevalente, SOLO o, in larga misura, con gli abitanti della Russia attuale. Quindi, per una sorta di metonimica estensione dell’accezione della parola “russo”, si può ingenerare un erroneo presupposto che la Rus’ fosse già dai suoi albori abitata dai russi propriamente detti e, così facendo, si implica una sorta di continuità storica unilaterale tra la Russia attuale e la Rus’ di Kyiv, dimenticando il punto di vista iniziale della storia ucraina (e di altri popoli dell’Europa Orientale).

Altra cosa è affermare che tutti i popoli slavi orientali (ucraini, russi e bielorussi) facciano risalire una parte della propria identità storico-culturale e, in certa misura, linguistica alla Rus’ di Kyiv. A questo proposito ricordo che la forma tradizionalmente usata nei libri di testo del secolo scorso era Kiev (traslitterazione dal russo). Da quando l’Ucraina è diventata indipendente (1991) si adotta a livello internazionale il toponimo ufficiale Kyiv. Se si preferisce aderire a una traslitterazione di tipo scientifico, però, si può scrivere Kyjiv o Kyïv (cfr. ucraino moderno Київ), non comprendo, dunque, perché adottare in modo impreciso la denominazione usata nelle cronache medioevali, ovverosia “Kyiev” (cfr. Кыѥвъ)?

Inoltre, come è noto ad ogni slavista, la traslitterazione scientifica della <к> cirillica richiederebbe la <k>. Tuttavia nella translitterazione del coronimo “Україна” si adotta la lunga tradizione latino-italiana e si scrive Ucraina con la <c>; quest’ultima variante è oramai ben radicata nell’uso linguistico. Ritengo, quindi, che la forma “Ukraina”, come scrive il Rallo, contrasti non solo con le regole ortografiche ed etimologiche dell’italiano corrente ma che si contrapponga alla forma unanimemente accettata dalla comunità scientifica degli slavisti italiani (i quali, finora, hanno avuto poca visibilità mediatica a differenza di specialisti di altri settori!).

Una ulteriore precisazione storica e terminologica concerne la seguente affermazione “si deve necessariamente andare indietro nel tempo: fino al Medioevo, quando tutta l’Ukraina a est del Nipro (il fiume che taglia verticalmente in due il paese e sulle cui rive sorge l’odierna capitale Kyiev) fu la culla del primo insediamento russo: era quella che allora si chiamava Rus’ di Kyiev e che successivamente diverrà la Piccola Russia, una di Tutte le Russie dell’impero zarista.”

A questo proposito andrebbe specificato che già nel XII sec. l’insieme dei principati che costituivano la Rus’ estendevano i propri domini ben al di là del fiume Dnepr o Dniprò (si badi non “Nipro”!) sia ad est che a ovest oltreché a settentrione e la loro sfera di influenza raggiungeva – seppure indirettamente – parte della zona settentrionale del Mar Nero a ridosso della penisola di Crimea. Nel contempo, in un monolitico storico, si associa la denominazione “Piccola Russia” (traduzione infelice di Mala(ja) Rus’), designazione quest’ultima di una parte dell’Ucraina attuale affermatasi nell’Impero Russo primariamente nel XIX secolo (anche se va detto che tale denominazione fosse di origine ecclesiastica e in uso dal XIV secolo con riferimento alla suddivisione ecclesiastica delle eparchie bizantine).

Non si esplicita dunque che “Mala(ja) Rus’ o Piccola Rus’”, secondo la denominazione greco-bizantina indicava il cuore o nucleo della Rus’ storica (cfr. greco Μικρὰ Ῥωσσία), ovverosia la parte principale e più importante. Si confronti quello che rappresentò la Magna (“Grande”) Graecia in relazione alla madrepatria greca. La Magna Graecia, difatti, al pari della “Grande Rus’ o Russia”, raffigurava una estensione ideologico-culturale e geo-politica della terra d’origine: nel nostro caso la Piccola Rus’ o Ucraina.

Semplicistico è il breve cenno al periodo cosiddetto polacco-lituano (Confederazione Polacco-Lituana, XVI – XVIII secc.) in relazione alle sfere di influenza reciproca tra le terre ucraine o rutene pertinenti al regno di Polonia e la Moscovia (denominazione originaria di parte della Russia storica). Non si segnala neppure il ruolo determinante svolto dai cosacchi della Sič di Zaporižžja nei diversi avvenimenti storici. Il cosaccato ucraino del tempo funse da antesignano di un’idea di libertà e di indipendenza territoriale da ingerenze straniere. Si tace sulla successiva unione di Perejaslav (1654) che portò le terre ucraine dell’Etmanato cosacco a unirsi alla Moscovia (ufficialmente denominata Russia solo a cominciare dall’epoca di Pietro I (1672-1725) in un rapporto paritetico, almeno secondo la storiografia ucraina.

Si omette di dire che i territori parzialmente liberi dell’Ucraina orientale e sud-orientale furono gradualmente popolati in larga misura anche da genti provenienti dall’Ucraina storica – quella che l’autore definisce vagamente “ovest” ma che inglobava le attuali regioni di Kyiv, Černihiv, Sumy ecc. Come dimostrano gli inconfutabili dati dialettali a suffragio di quanto appena detto, le parlate di tipo ucraino si estendono ben oltre gli attuali confini di Stato, inglobando la zona di Kuban’, Starodub, regione di Brjansk (Federazione Russa), parte della Bielorussia sud-occidentale ecc.

Precipitoso ed estremamente generalizzante è l’inserimento storico delle estreme regioni occidentali quali la Galizia (centro principale L’viv / Leopoli) nel quadro storico complessivo dell’età moderna e contemporanea. I cosiddetti “filotedeschi e filonazisti” al tempo della II guerra mondiale, così come oggi, rappresentano delle frange ben precise e circoscritte della popolazione, proprio come accade in altri Paesi europei ed extra europei, incluso la Russia e l’Italia.

Sulla questione delle tre etnie ucraine distinte che ricordano gli annosi scritti russocentrici del XIX secolo, posso solo dire che, come in molte nazioni-stato europee, tra cui anche l’Italia, storicamente e geograficamente esistono differenze culturali, linguistico-dialettali e identitarie tra le varie regioni. Eppure pochi oggi si definirebbero all’estero o all’anagrafe come lombardo-veneti, regnicoli ecc. Ricordo sommessamente che, dopo l’epoca cosacca, il processo di autoaffermazione politico-nazionale dell’Ucraina riprese nel corso del XIX sec., proprio come accadde durante il Risorgimento italiano, ma fu spesso interrotto e soppresso dalle ambizioni imperiali panrusse.

Per esperienza ventennale diretta posso affermare che gli ucraini si sentono, in maggioranza, un unico popolo da Xarkiv a L’viv (Leopoli), da Černihiv a Mariupol’, seppure con le dovute differenze regionali, storico-culturali di cui si accennava sopra. Numerosi colleghi di Luhans’k e Donec’k, oltre che alcuni amici di Kuban’ (Federazione Russa), profondi conoscitori della storia ucraina in relazione a quella russa, sarebbero disposti a morire piuttosto che rinunziare al proprio senso di “ucrainicità”!

Sarebbe opportuno sottolineare, invece, il comune sentire della maggioranza degli ucraini meridionali e orientali i quali, a prescindere dalla lingua usata nella comunicazione, si identificano in maniera sempre crescente, come dimostrano recenti studi internazionali a sfondo sociologico e sociolinguistico, con l’Ucraina. I fatti e la fiera resistenza contro l’invasione in atto ne sono una prova tangibile.

Costoro difendono un modus vivendi, una scelta di valori che va rispettata e un senso di libertà individuale che nella Russia dell’ultimo decennio è letteralmente sparita. Voler prefigurare agli ucraini, forse inconsciamente, forse in maniera velata, il modo su come dovrebbero riassestare o riconsiderare il proprio status quo attuale, in nome di una pseudo pace internazionale, non solo è metodologicamente erroneo e moralmente ingiusto MA rappresenterebbe un’intrusione nella volontà di scelta di un popolo sovrano.

Salvatore Del Gaudio
Professore presso l’Università di Kyiv B. Grinchenko
Studioso ucrainista (slavista)

Setaro

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