I dilemmi della quarantena social: chi se ne frega di come si pettina Giovanna Botteri?

di Titti D'Amelio

Che cosa hanno in comune un cinghiale, Carola Rackete, Teresa Bellanova, Giovanna Botteri, Josefa e il ragazzo con le treccine blu di Scampia? Tante cose. Una fra tutte,  il mio personale rigurgito misto a insonnia e stato nervoso latente (!?) per un paio di giorni dopo che mass media e non, parlano e straparlano dei personaggi sopracitati in toni dalla scrivente non condivisibili. Eccola qua. L’ho detta. Chiamala come vuoi: post femminismo, sensibilità acuta, stato alterato dovuto a quasi due mesi di quarantena. Trovaci tu un nome. Però io stasera a dormire senza scrivere non ci vado.

Ognuno lotta come può e dissente come meglio gli riesce. Io scrivo. E la mano ferma non ci sta e non ci sta a stare attaccata a un corpo che si ribella solo attraverso uno stomaco in subbuglio e agitazioni sparse. Siamo tutt’uno. Dunque.. da dove iniziare? Pur presente su Facebook non mi ritengo molto social. E non usufruisco granchè dei programmi offerti della TV (da quando sono mamma, il telecomando è appannaggio delle mie figlie.. ma questo è un altro discorso)..Dove eravamo? Ah si: complice l’insonnia e diciamo pure una bella dose di noia osservavo in rete parecchie notizie riguardanti la giornalista Giovanna Botteri, volto noto della Rai.

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La cosa che mi colpiva leggendo qua e là è che tutto questo parlare non era rivolto alla sua professione ma erano commenti neanche tanto velati rispetto al suo stile nel vestire e alla sua capigliatura a detta di occhi esperti non fresca di piega. No aspettate. Fermi tutti. Dotata di mente che non dimentica ma accantona, apro il cassetto di altre simili situazioni che mi hanno procurato analoghi disgusti. Il più recente in ordine di tempo è quello del governatore De Luca e delle leggiadre e sicuramente per lui più piacevoli visioni di cosce e glutei tonici fasciati nei fuseaux o tutù, di berlusconiana memoria, al posto dei cinghialoni da corsa.

Ma ormai il vaso è aperto e salta fuori  l’abito a balze blu sfoggiato dalla Bellanova  in occasione del giuramento al Quirinale. Il petto senza reggiseno del  capitano Rackete di fronte ai magistrati.  E ancora.. il ragazzo di Scampia a cui fu impedito l’accesso a scuola perché aveva un look troppo eccentrico (treccine blu a 13 anni.. Voi capite.. che abominio!) e per finire, lo  smalto rosso sulla mano nera di Josefa, fotografata nelle operazioni di salvataggio in mare dell’ennesimo barcone.

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No. Non  posso stare zitta. Me lo impedisce la testa che non mi fa dormire e la mano sulla tastiera che non si ferma. E mettici pure il fatto di essere donna e di avere nella stanza accanto due future donne che dormono. Sarà che alla nostra generazione, quella dei quasi o poco più quarantenni, hanno regalato, tra tanti disastri, pure un femminismo bello e fatto, insieme all’errore che sia una lotta conclusa e datata.

No c****. Non sto zitta. Non è così. Bisogna aprirlo quel concetto e farlo proprio e dopo averlo fatto proprio, bisogna metterci dentro qualcosa. Uomo o donna che tu sia. Essere convinti che una conquista, che una determinata  libertà sia valevole nel tempo è pericoloso. Perché ciò che succede non sono solo parole. Non sono solo fotomontaggi di donne in vasca da bagno. È  violenza. È  mancanza di rispetto. È  reato. È  body shaming. Odio le brutte parole ma il reggiseno della Rackete si può mettere al collo a mo’ di sciarpa. O come mascherina se proprio non esce dalla bocca qualcosa di meglio del silenzio.

Non bisogna abbassare la guardia perché se si abbassa la guardia si abbassa anche la voce e se abbassi la voce nessuno ti sente. E quando vai a fare una denuncia perché il tuo compagno ti maltratta e  tu non hai la voce alta e ferma non ti ascoltano. E se non hai la voce alta e ferma, non ti credono.  E ti dicono che nella Circumvesuviana, il sesso a tre non è stata violenza, ma ti è piaciuto. Alziamo la guardia e alziamo la voce. Ora si. Posso andare a dormire.

Setaro

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