In attesa della quarta puntata quando basterà la maggioranza semplice. Ma l’accordo è ancora lontano
In uno scenario surreale (ovviamente per l’importanza dell’appuntamento) di poltrone vuote (salvo quelle presidenziali) causa l’assenza (anche questa non occasionale, perché ormai si verifica sempre più spesso ) dei parlamentari, che, per altro scappavano, manco avessero visto il diavolo, subito aver votato. Alle 15 di ieri pomeriggio, si è aperto il tendone ed è cominciata la commedia dell’elezione del 13° (14° se mettiamo in conto i due anni di proroga di mandato di cui fu gratificato Giorgio Napolitano il 24 gennaio 2015) Presidente della Repubblica italiana. In verità, viste le condizioni di partenza, almeno per il momento, sembra essere più una farsa su cui «non ci resta che piangere» che una commedia buona a regalarci speranze per il futuro del Paese.
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I cavalieri delle poltrone in cerchio di Re Giovanni senza partito (Letta) e dello sceriffo a 5 stelle (Conte), ovvero il vertice del centrosinistra, non sono andati molto lontani. Anzi, per ora, si sono imballati alla prima tappa.
I portatori della verità
Del resto, non poteva essere altrimenti, perché ancora una volta «Enrico, stai sereno» e l’autoproclamtosi «avvocato del popolo» hanno – pur non privi dei numeri necessari e lo spessore morale dei 4 evangelisti: San Matteo, San Marco, San Luca e San Govanni per farlo – messo in vetrina la solita arroganza, dei «portatori della verità assoluta ed indiscutibile» pretendendo di essere loro a decidere chi debba ascendere al soglio più alto di Roma. Una personalità di grande spessore e non di parte, purché, naturalmente, di sinistra.
Però, bisogna riconoscere che hanno ottenuto – per altro, con l’accordo sottointeso del centrodestra – il risultato che si erano ripromessi: chiedere aiuto alle schede bianche (672 voti, appena 1 in meno del quorum previsto per eleggere il Capo dello Stato nelle prime tre votazione) «salvo intese», e il conseguente rinvio a data e votazione da destinarsi, dell’elezione del nuovo Capo dello Stato.
In conclusione, con la bonomia del sovrano munifico «ci vediamo domani» ha detto il leader del Pd, nell’andare via, dopo aver votato. Già, infatti, come da calendario, il prossimo appuntamento è per oggi pomeriggio. Neanche questo, però, sarà quello buono. Anche oggi, però, faranno soltanto passerella, per poi darsi appuntamento a dopo«domani». In attesa di intese.
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