Questa ultima gravissima gaffe della Commissione UE, fa capire quanto sia urgente una gestione politica e non burocratica dell’Europa
L’ultima trovata della pericolosa burocrazia dell’Unione Europea, famosa per la stranezza e rigidità parossistica delle sue trovate, ha raggiunto epici traguardi con il documento intitolato «Union of Equality» e cioè il percorso dialettico imposto ai propri funzionari per garantire, con il linguaggio da usare, il diritto a tutti di essere trattati in maniera uguale e, quindi, senza riferimenti di genere, etnia, razza, religione, disabilità, età e orientamento sessuale.
Da qui alcune indicazioni ridicole, come il mancato riferimento al Natale, da sostituire con «periodo di vacanze», il consiglio di evitare di pronunciare nomi cristiani di persone, per non offendere i non cristiani, ed altre incredibili simili amenità.
Non ci voleva tanto a capire che, così facendo, il tentativo principale di non offendere le diversità, tra l’altro naturalmente minoritarie e proprio per questo da garantire e rispettare, si sarebbe tradotto nell’imposizione alla maggioranza di snaturare se stessa, la propria cultura, i propri valori e le tradizioni più amate, in altri termini la propria identità. Per fortuna le vivaci proteste contro questa assurda pretesa, hanno imposto l’immediata revoca del provvedimento. Da qui un tripudio di gioia e soddisfazione per lo scampato pericolo, con un fiorire di commenti soddisfatti su tutti i media.
Quindi va bene così? Non credo, perché appare evidente che senza le dimissioni della commissaria Helena Dalli, responsabile politica dell’apparato burocratico che ha dato vita al documento «Union of Equality» e che non sembra convinta di rinunciare alla gravissima gaffe, bensì a «lavorare di più sul testo», ma soprattutto senza una volta per tutte eliminare il buco nero di una burocrazia dell’UE, che costantemente opera in modo da stupire e indispettire gli europei, si rischia di perpetuare situazioni simili anche in futuro, invece di impedirle per sempre. Anche perché questa volta si è davvero esagerato.
Il documento appena ritirato, infatti, con la scusa della tutela dei diritti, introduceva una violenza di fatto inaudita, gratuita e finalizzata al progressivo annullamento di qualsiasi cultura e alla evaporazione delle presunte differenze, con il palese tentativo di realizzare una società di uguali, amorfa e priva di riferimenti, se non generici e superficiali. In altre parole una disumanizzazione collettiva ricercata e radicale e finalizzata alla robotizzazione collettiva dei comportamenti, dei linguaggi e dei rapporti sociali, imperniati su una falsa narrazione, di una umanità di fatto lobotomizzata.
E tutto questo per non offendere le «sensibilità»?
Cioè obbligare tutti a rinunciare alla propria visione del mondo perché restare come siamo «provoca dolore» a quanti appartengono ad altre culture e religioni? O discendono da popoli colonizzati e maltrattati nel passato?
Ma da quale data si avrebbe il diritto di potere ottenere tale soddisfazione?
Non c’è popolo sulla terra che, nello scorrere dei millenni, non abbia subito invasioni, soprusi e umiliazioni da altri popoli. Anche i grandi imperi sono crollati sotto le invasioni dei popoli nemici e da aguzzini sono diventati vittime.
La Sicilia ha subito 14 invasioni nell’arco degli ultimi 3000 anni, dovremmo provare dolore alla vista di una qualsiasi straniero a parte cinesi, giapponesi e pellirosse? Non è con un linguaggio ridicolo e falso, che si possono curare tali ferite, ma con le regole del rispetto reciproco sempre e comunque, imparando che la diversità non va mai cancellata, o peggio nascosta, ma accettata con le regole della civile reciproca accoglienza, punendo chi queste regole non intende rispettare.
Ecco perché è profondamente sbagliato tentare di imporre alla maggioranza delle persone di modificare e travisare la propria capacità di espressione, per creare un contesto di apparente indifferenza alle altrui diversità.
Ecco perché il «politicamente corretto» è falso, fazioso, offensivo e divisivo.
La rilettura della storia, il trattamento di statue di eroi e grandi uomini, rimosse ed eliminate come quelle dei peggiori tiranni, la continua richiesta di scuse su tutto e per tutti, non ha trovato ancora nessuna seria e decisa contrapposizione, né politica né culturale.
Una reazione che, in nome della storia e del dovere di trattarla come tale e non come un perenne dibattito politico attuale, che pretende la gogna sulle colpe, vere o presunte, dei nostri avi dei secoli passati, faccia smettere questa follia della riscrittura ideologica e anacronistica dei fatti dell’umanità e prenda finalmente posizione ovunque, ma soprattutto nelle scuole e nelle Università, per riaffermare i principi eterni che impongono giudizi storici, ma con i criteri del comune sentire di ogni specifico periodo temporale e senza giudici improvvisati, che ideologicamente stendano sentenze di condanna sulla base del comune sentire contemporaneo, ed a soddisfazione di presunti diritti di rivalsa.
Ma questa ultima gravissima gaffe della Commissione UE, fa capire inoltre quanto sia urgente una gestione politica e non burocratica, dell’Europa che, anche per questo, deve riprendere il percorso della costituzione della Federazione degli Stati d’Europa per recuperare pienamente il ruolo nel mondo che le compete, a tutela dei principi di libertà, democrazia, tolleranza, inclusione e rispetto dei diritti individuali e collettivi, di cui è stata creatrice e culla di civiltà.
Nicola Bono
già sottosegretario per i beni
e le attività culturali