9 novembre 2021, trentaduesimo anniversario della caduta del muro di Berlino…

di Rino Nania

Sembrava una vittoria e invece fu sconfitta perché non ha prodotto la riforma istituzionale necessaria a garanzia del gioco della democrazia

Il trentaduesimo anniversario (9 novembre 1989/2021) coglie nel segno ed arriva al momento giusto. Ricorda quegli entusiasmi sulla sconfitta definitiva del comunismo, che era iniziato da Papa Woytila, già ai tempi arcivescovo di Cracovia e promotore insieme a Lech Wałęsa della rivoluzione di Solidarnosc.

Da lì iniziò lo sgretolamento ideologico del comunismo europeo a marchio sovietico. Da lì si arrivò alla fine del percorso a Berlino ed alla caduta del suo muro ossia ad un tentativo di ricostruzione di una nuova visione europea.

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La cultura del tempo che contrapponeva ovest ed est forniva «una situazione estremamente dinamica» come diceva Emanuele Severino. Dalla egemonia delle due superpotenze si passò ad un diverso destino in cui l’Europa, quale terzo incomodo, aveva il compito di ispirare nuovi equilibri.

Ma ciò era possibile solo attraverso un’idea diversa che dal concetto di egemonia passava allo spirito europeo che si identificava con lo «spirito critico», laddove la filosofia greca si coniugava con il cristianesimo, ovvero l’esaltazione della radice e della tradizione che respingeva i «sepolcri imbiancati» e perseguiva la «retta intenzione».

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Così Severino ci accompagna nella riflessione contro i sepolcri e le ipocrisie dichiarando che «Alla base della libertà, della democrazia, del rispetto della dignità dell’uomo … c’è quello spirito, cioè la lotta contro le antichissime e le più recenti tirannidi che esigono la cieca accettazione dei loro comandi».

Ebbene a questa solida costruzione di pensiero non ha fatto seguito la riforma istituzionale che doveva prevedere anticorpi, garanzie, coordinamento di regole affinché il gioco della democrazia europea fosse svolto all’insegna della politica che sceglie, decide e orienta perché ha ottenuto il consenso degli elettori e, quindi, dei popoli.

Unione europea sprovvista di una visione politica

Se la politica era, e dovrebbe ancora essere, il modo naturale per affermare la democrazia ed abbattere gli idoli della economia e della finanza, delle superpotenze e della tecnica sempre più invasiva e globalizzata, tuttavia l’unione europea è sembrata debole, lungo questi anni, perché sprovvista di una visione politica, capace di declinare l’esercizio del potere in direzione dei popoli e non affamandoli come è riuscita a fare.

Ciò ha rappresentato il limite costitutivo sotto gli occhi di tutti e non ha rafforzato l’identità europea, anzi l’ha ridotta a strumento in mano a qualche «Stato locomotiva», che guida e non coordina, fagocita e disgrega, separa e distanzia.

Ebbene in questo quadro europeo le «risorse di potere», ovvero quelle che stanno in mano alle classi sociali che devono determinare prese di posizione, non si traducono in scelte politiche. Sicché intere fette di società europea rimangono escluse dalla rappresentanza istituzionale, facendo venir meno quelle tutele che oggi sarebbero vitali nel costruire solidarietà, nel rafforzare relazioni, nel piantare fattori di coesione, nel prospettare un destino collettivo meno oligarchico e più democratico.

In cui l’economia realizza la sua parte e svolge la sua funzione di liberazione dai bisogni dei consociati perché anela ad impiantare, stoicamente, una comunità in cui si lavora sodo per affrontare a viso aperto (consapevolmente e non secondo subdoli indirizzi di controllo sociale) le avversità.

Radcliff e il «ruvido individualismo»

Così come dice il politologo americano Radcliff bisogna abbattere il «ruvido individualismo» per dare luogo a comunità in cui la felicità da questione psicologica diviene questione sociale, sì da focalizzare metodi e visioni, in grado di modificare e materializzare un sistema capace di distribuire soddisfazioni per rendere la vita di ciascuno più appagante.

Lavoro e solidarietà devono essere i fattori di armonia e non generatori di conflittualità, come lo erano, nella visione ideologica novecentesca. Superare il comunismo definitivamente è un obbligo, costruire sistemi liberi deve essere una scelta di campo, che si compie attraverso «la socializzazione di rischi e vantaggi». Solo così, Berlino può assurgere a simbolo di nuove declinazioni politiche, culturali, esistenziali.

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