Pandora Papers, l’evasione fiscale planetaria rimane non perseguibile

Negli elenchi pubblicati nomi di personaggi che spesso si sono contraddistinti per discorsi anti-corruzione

Dopo l’inchiesta del 2016 del consorzio internazionale dei giornalisti investigativi (ICIJ), denominata Panama Papers che aveva analizzato soprattutto la finanziaria Mossack Fonseca che a Dubai amministrava i beni dei vip di questo mondo consentendo loro di evadere tasse e fisco alla faccia e sulle spalle dei normali cittadini, dopo i Paradise Papers del 2017, lo scorso 3 ottobre lo stesso consorzio firma e prosegue pubblicando nuovi Papers, I Pandora, una gigantesca inchiesta basata su 11,9 milioni di documenti relativi a beni registrati offshore, cioè in territori dove vigono legislazioni particolarmente permissive per quanto riguarda la tassazione fiscale.

Dai Pandora Papers emergono parecchie informazioni sul sistema di economia offshore che permette a miliardari, politici, artisti e criminali vari di riciclare denaro, nascondere l’entità della propria ricchezza ed evadere le tasse.

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L’inchiesta ha riguardato personaggi legati tra loro da un unico filo rosso: sono tutti clienti delle 14 riservatissime finanziarie internazionali che fabbricano, «offshore», che costituiscono cioè società collocate in giurisdizioni estere dove non esistono le tasse, vige l’anonimato e si evitano facilmente indagini del fisco, della magistratura e, per molti di loro, le critiche degli elettori, di quei cittadini cioè che alla fine pagano i costi di sanità, sicurezza, scuole, strade, ferrovie, acquedotti e di tutti i servizi essenziali che necessitano proprio delle entrate fiscali per poter funzionare al meglio.

Ovviamente adesso è legittimo domandarsi il perché di questi consorzi che svolgono opere di investigazione giornalistica e inchieste di giustizia sociale e si resta nel dubbio quando ci si accorge che si tratta sempre di testate giornalistiche che interpretano nello stesso tempo il ruolo di attori e convenuti.

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Pandora papers, i fatti riportati non perseguibili penalmente

Per un’informazione il più possibile completa a questo punto l’articolo dovrebbe riportare i nomi dei personaggi caduti nella rete dell’inchiesta ma non è questo il nostro scopo: Non vogliamo speculare letteralmente sulle fortune di gente ritenuta al di sopra di ogni sospetto ma che mette le sue economie al riparo delle tasse dovute ricordando, del resto, che in molti Paesi i fatti riportati dai Papers non sono perseguibili penalmente.

Negli elenchi pubblicati ritroviamo nomi di personaggi che spesso si sono contraddistinti per i discorsi anti-corruzione che li hanno caratterizzati, veri e propri campioni della morale caduti però proprio dai rivoli della morale che professavano nel campo dell’evasione fiscale più squallida; re e sovrani che governano paesi che dipendono molto dagli aiuti internazionali e poi costruiscono reti di aziende off shore accumulando proprietà di lusso per un valore complessivo di centinaia di milioni di dollari, invece di aiutare i loro sudditi.

E ancora acclamati campioni di calcio, serviti oggi in ogni salsa pubblicitaria, dalla rete internet al turismo regionale, dall’acqua minerale ai beni di confort, gente che blatera sui valori, sulla necessità di rivalutare la Nazione attraverso lo sport e poi si affida a riservate finanziarie di Isole Vergini britanniche, Monaco, Panama, Singapore e Svizzera, paesi con imposizioni fiscali basse o inesistenti, che rendono facile aprire ditte di comodo, per evadere le tasse dovute eludere il fisco.

Molti paesi hanno sempre annunciato di voler cominciare a contrastare con maggior forza il ricorso ai paradisi fiscali e l’evasione fiscale che assassina le economie nazionali.

A parole però, soprattutto questa Unione europea che, a dispetto di decine di direttive e raccomandazioni agli Stati in materia fiscale, interviene fermamente nei confronti degli alunni indisciplinati in materie ritenute dogmatiche come il primato del diritto comunitario, la legislazione transgender, la obbligatoria cessione di sovranità nazionali ma balbetta nei confronti di stati come ad esempio i Paesi Bassi o in parte il Lussemburgo dove vige una legislazione fiscale a bassa tassazione che attira capitali ed industrie dei Paesi membri che sarebbe opportuno invece continuassero ad operare nel loro paese d’origine, oggi specialmente che se ne avverte maggiormente bisogno, per avviare una ripresa economica dalla pandemia.

Certo, la crisi economica innescata dalla pandemia, se ha favorito il proliferare di questi rifugi offshore, ha certamente moltiplicato le spese dello Stato per sostenere la sanità e per aiutare i più deboli, ma nessuno osa attaccare la pentolaccia dei paradisi fiscali off-shore.

Lo stesso direttore dell’Icij, Gerard Ryle, ha denunziato sconsolato l’effettiva utilità delle inchieste di fronte all’indifferenza dei governi, concludendo sconsolato che «Ci stiamo perdendo tutti perché in pochi stanno guadagnando».

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