Meloni e Salvini è ora di ritrovare, insieme all’unità, una direzione di marcia

Dopo il risultato elettorale si afferma una politica che non riesce a rappresentare al meglio questa realtà che è povera, furba e poco attraente

L’esito elettorale del 3 e 4 ottobre 2021 ha capacità evocative straordinarie nell’evidenziare lo stato dell’arte di politica che, pur coltivando un pensiero critico, non riesce a rappresentare i più che disertano le urne e non a dare risposte con l’intento che dovrebbe esprimere quel quid fatto di concretezza e risolutività delle questioni sotto gli occhi di tutti: sviluppo economico, crescita culturale e costruzione di nuove antropologie.

Meloni e Salvini sono lo specchio/riflesso di un difetto che proviene da lontano e che si materializza quando i galletti nel pollaio non riescono a rappresentare un contesto sfaccettato ed una comunità complessa ed articolata, che ha bisogno di chance e vive di necessità e non di superfluo.

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Così l’impianto culturale che pretende democrazia prima di tutto, che vuole assistere appassionatamente a battaglie ideali appare come un orizzonte affascinante, ma certamente privo di quella sostanziale necessità di rendere l’Italia veramente unita, priva di quelle sperequazioni che non possono ancora sopravvivere dopo oltre 100 anni di storia tra Nord e sud.

Qui sta il cortocircuito vissuto ed interpretato da Salvini e Meloni, laddove non riescono a costruire convintamente una strategia tesa a progettare uno sviluppo vitale, plurale, ricco di vocazioni che impiegano al Nord come al sud i migliori talenti, tentando di rilanciare al meglio le vocazioni territoriali. Qui sta la differenza tra una destra che vuole solidarietà senza misure concrete ed una sinistra che, pur non essendo capace di uscire dai salotti, delinea percorsi trasformistici, come i furbetti del quartierino che lucrano su tutto pur di andare avanti e sopravvivere.

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Una politica urlante nei modi che non trova tregua

Ebbene oggi dopo il risultato elettorale si afferma una politica che non riesce a rappresentare al meglio questa realtà che è povera, pur apparendo furba e poco attraente per un profilo esile nelle esperienze che preconizzano, urlante nei modi che non trova tregua.

Eppure e purtroppo il silenzio di Draghi rimane il più convincente perché sta riuscendo ad allontanare la gente dall’impegno civile, a rendere distante la cosa pubblica, sterilizzando il momento democratico del voto. Così si giunge al paradosso di Bertold Brecht laddove, con sguardo ironico ma lucidamente terribile, definisce il momento come quello in cui «Il popolo ha perso fiducia nel governo. Non sarebbe più semplice, allora, che il governo sciogliesse il popolo e ne eleggesse un altro?»

In questo quadro, terribilmente sarcastico, avviene questo paradosso per il quale chi comanda crea un regime in cui il popolo rimane irrilevante, non partecipa, e forse neanche lo vuole, e non si ribella.

Qui sta lo stadio che vive quella destra, che non vive nel palazzo, che ancora immagina una politica che dovrebbe essere in grado di incidere ed è fatta di carne e sangue, di idee e valori ed invece deve confrontarsi con una realtà che sorda e muta attende sulla riva del fiume per vedere passare i cadaveri di quanti senza il senso della storia male intendono questo neo-riflusso.

Si è passati dai ladri ai confusionari

Ecco perché la gente sta a casa perché nella deriva senza cesure dei tempi che storicamente scorrono si è passati dai ladri della prima repubblica ai confusionari della seconda, sempre interdetti nel loro incedere sulla scena politica. Per arrivare ad una terza repubblica ancora non ben definita dove si assiste alla somma dei pastrocchi della seconda con la corruzione morale e materiale della prima.

Ecco come si esce dal tempo dei 5stelle col peggio: perché risultano tangibili la mediocrità di una classe dirigente e le brutture che realizzano, senza un pensiero e senza un immaginario di riferimento, senza cioè che si possa progettare una via d’uscita dignitosa e soprattutto ricondurre la lotta politica a visioni risolutive e contrapposte e non rivestendo, solo con coloriture sbiadite, un momento di passaggio, in cui la transizione rimane come un cammino randagio senza una direzione di marcia seria e soprattutto senza obiettivi di qualità: tra impotenza ed incapacità.

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