Nonostante il doppio giochismo degli americani e la scarsa stima che portano nei confronti degli alleati europei
Gli anni del dopoguerra furono monopolizzati dalla minaccia sovietica che rappresentava certamente un pericolo reale per le democrazie recuperate col sangue. Proprio nelle prevedibili psicosi che fecero da corollario al periodo post-bellico, nel 1949 nasceva la NATO a cui fece subito da contraltare la creazione del Patto di Varsavia.
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Da quel momento il lupo cattivo sovietico che terrorizzava tutti i Paesi liberi, diventò bersaglio soprattutto di Washington, già una prima volta nel 1948 al momento della crisi di Berlino, quindi una seconda volta nel 1962 nella crisi dei missili a Cuba.
La conseguente guerra fredda convinse gli alleati alla necessità di stare insieme, e tutto questo fino alla caduta del muro di Berlino nel 1989 e alla conseguente dissoluzione del Patto di Varsavia del 1991 data in cui ormai la Russia comunista non esisteva più.
Ma se il Patto venne smantellato, la NATO, nonostante parecchi scontenti, rimase al contrario sempre efficiente ed anzi, per trovare una giustificazione plausibile alla non-smobilitazione, si arrivò a definire la nuova Russia come il nemico potenziale degli USA, gli alleati storici dell’Europa, fingendo di dimenticare i disastri causati dai loro interventi in Iraq alla ricerca dell’inesistente potenziale di armi di distruzione di massa che la CIA aveva attribuito al povero Saddam, in Siria per tornare a destabilizzare la regione del Tigri e dell’Eufrate e in Afghanistan dove 20 anni di occupazione hanno regalato alle forze che ora si contendono i territori afghani armi e sofisticate tecnologie di combattimento statunitensi.
I Paesi più forti non hanno mai degli alleati da rispettare
La recente crisi dei sottomarini francesi ha poi sottolineato, se ancora ce ne fosse stato bisogno, il doppio giochismo degli americani e la scarsa stima che portano gli yankees nei confronti degli alleati europei, anche se ormai dovrebbe essere chiaro che, in materia di politica internazionale, i Paesi più forti non hanno mai degli alleati da rispettare ma solo degli interessi da difendere.
Resta da manuale a questo proposito il discorso del genere De Gaulle tenuto a Strasburgo nel 1959 nell’intento di riunificare i paesi europei evocando la creazione di quella famosa Europa che andasse dall’Atlantico agli Urali, integrando così, de facto, anche la Russia e prefigurando, al di là delle ideologie, un’alleanza geografica naturale degli europei.
Questo discorso della grande Europa politica, ben altro rispetto all’Europa delle banche e dei capitali costruita dai Trattati unionisti, ha costituito già da allora un principio capitale della visione europea della destra italiana di Pino Romualdi e Giorgio Almirante, e dovrebbe oggi poter trovare nuova linfa vitale per affrontare le sfide del millennio.
I due blocchi Est-Ovest non esistono più e si vede male l’Europa seguire ancora ciecamente gli Stati Uniti nel loro confronto con la Cina per il predominio mondiale, anche se rimane pura utopia pensare che una nuova Europa potrebbe costruirsi già da subito, includendo la Russia.
Oggi l’Europa dovrebbe piuttosto mettere al bando i divieti political correct ed intraprendere nuove misure diplomatiche per intrattenere con Mosca un dialogo da cui verrebbero fatalmente esclusi quei dispensatori di lezioni di democrazia i limiti dei quali balzano oggi agli onori delle cronache afghane.
Umiliata sempre dagli anglo-sassoni che hanno dimostrato di pretendere tanto senza dare niente in cambio, l’Europa, invece di andare sempre a Canossa ed inginocchiarsi davanti al Biden di turno, forse farebbe meglio a volgere lo sguardo verso gli Urali, sempre tenendo conto della Storia e dell’anima del popolo russo: potrebbe essere l’inizio di una nuova Europa politica al servizio dei cittadini.