La grande ammucchiata complica il cammino riformatore del governo Draghi
La grande ammucchiata non facilita il cammino riformatore del governo Draghi. Differenze e contraddizioni fra i partiti della maggioranza sono talmente tante, da complicare, e non poco, il raggiungimento di qualsiasi risultato d’interesse generale. Due, per tutti: la riforma del fisco (Draghi aveva promesso una legge delega, per luglio, che non è arrivata e 25 milioni di cartelle volano verso i contribuenti) e la perequazione Nord-Sud (basta penalizzazioni al Sud negli investimenti pubblici) indispensabili al rilancio del Paese.
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Eppure, il fatto che il principale scopo della prima è rendere più sostenibile la pressione fiscale e quello della seconda, recuperare i ritardi infrastrutturali – che separano le due Italie, divenendo un ostacolo insormontabile per la crescita del Sud – avrebbe dovuto velocizzarne l’approvazione. Ma interessi del Paese e «bandierine» dei partiti, non sempre coincidono. Non è un caso che la Camera abbia «impegnato» il governo a rinviare l’invio ai contribuenti delle cartelle di cui sopra, ma con un Odg che impegna tutti, ma non obbliga alcuno.
E c’è un altro rischio. L’ultimo sondaggio elettorale Demos vede Meloni e FdI prendere il largo (20,8%, +0,7 rispetto a luglio) su Salvini e Lega (19,6%, -0,9) e tutti gli altri. Il che potrebbe spingere Matteo a trasformare ancora di più la Lega in partito a mezzo servizio fra opposizione e governo.
Tutti parlano di unità, ma ognuno preferisce il proprio territorio
Difficile modificare il sistema tributario e realizzare la perequazione Nord-Sud, se i partiti della maggioranza tirano verso direzioni opposte. Di più, se sul fisco, la contrapposizione è fra quelli della maggioranza (‘Flat Tax’ Lega e FI; Patrimoniale Pd e cs), in fatto di perequazione la battaglia è nei partiti. Tutti parlano di unità, ma ognuno preferisce il proprio territorio. Eppure, è proprio dalla risoluzione di queste criticità che dipendono: lo sviluppo del Paese, il successo del PNRR, senso e motivazione del debito acceso con l’Europa, per il Recovery. Ma tempo e disponibilità economiche non giocano a nostro favore.
Per tagliare le tasse serve trovare le risorse per coprire la diminuzione delle entrate, ben oltre quei miseri 3 miliardi racimolabili, secondo il ministro Franco, nelle pieghe delle casse pubbliche. Sicché rimodulare aliquote fiscali e ridurre il cuneo – che pure ha trovato una prima limatura, grazie a sgravi sul reddito, assegni familiari e tagli temporanei ai contributi sociali – ce ne vorrebbero almeno 15. Sicché, nel migliore dei casi se ne parlerà nel 2023.
Necessaria una deroga dell’Europa
A meno che l’Europa non ci conceda – ma c’è poco da sperarlo, anche perché nessuno intende chiederla – una deroga alla rigida norma che impedisce di destinare le risorse comunitarie al taglio delle tasse, permettendoci di utilizzare a tal fine una quota di fondi Recovery.
Eppure, questo sarebbe un intervento strutturale che, lasciando più risorse alle famiglie, aiuterebbe a far crescere i consumi, quindi, le entrate fiscali e il Pil. Da quest’orecchio, però, l’Ue non sente. Ma, quando sarà il momento della restituzione del debito Next Generation Ue, ma in caso di esigenza, non si farà alcuno scrupolo a imporci di alzare le tasse esistenti, semmai, istituirne di nuove per ripagare il debito.
Per la perequazione infrastrutturale Nord-Sud, non bastano gli «smontiamo il muro che separa il Paese» della ministra Carfagna. Perché, il decreto Giovannini per l’assegnazione delle risorse alla portualità, fa il contrario. A leggerne i dati, se ne ricava che su 2.160 mln investiti per l’ammodernamento dei porti 1.273 (59%) sono andati al Centronord e 887 (41%) al Sud. Ma la sperequazione appare ancora più evidente se si considera la quota immediatamente utilizzabile: per il Cn 885 milioni (il 69,5 % dei 1.273) e solo 255 (il 25% degli 887) per il Sud.
E, intanto mentre Tridico e Governo continua a foraggiare il Reddito di cittadinanza, destinati ai «professionisti del dolce far niente» compresi quelli illegali, Invitalia e Arcuri continuano a ridurre le agevolazioni per il ‘Resto al Sud’ ovvero per quei giovani che chiedono di essere aiutati a confrontarsi con il mercato del lavoro e le responsabilità imprenditoriali. Altro che perequazione!