Tropico della Spigola, il Sud poetico e dissacrante di Max De Francesco | La recensione di Umberto Franzese

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Max De Francesco

Ne ho letti di libri sul Sud, Napoli e la ‘napoletanità’, ma concentrandomi con furioso accanimento su ‘Tropico della spigola‘ di Max De Francesco (Iuppiter Edizioni), ho pensato, e lo scrivo rigorosamente in napoletano, «ca ‘e scrivere hanno levà mano ‘o nuvanta pe’ cciento di coloro che hanno ‘o canzo ‘e mettere nzieme qualsiasi elaborato». Da ragazzetto ho sempre amato la lettura, dai classici ai fumetti, ma questo ‘tomo’ di De Francesco «comm’è tomo!» È già un classico, «è nu bisciù venuto assaie bbuono!».

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D’altra parte non solo chi scrive ma anche chi parla, lo fa a sproposito: siamo assediati da «meze cazette». La mediocrità si spande in tutti i campi, non c’è modo di sparecchiarla: nel giornalismo come nell’arte, nello spettacolo e affini. Dove sono i sopraffini scrittori che De Francesco cita nel suo ‘Tropico’ come Serao, Pierce, La Capria, Rea, Marotta? Dove albergano i sontuosi, versatili artisti come Dalbono, Bertè, Celano? Dove giganteggiano i maestri dell’aureo egemonizzante spettacolo, quali Eduardo, Totò, Cannavale, Gill, Russo, Viviani? Lo spartito è arido, lacunoso.

Di giornalisti, di scrittori che impazzano nella carta stampata, in radio e TV ce ne sono a iosa, ma da prendere con le molle. Max De Francesco è una penna assai fine. Un Orlando imperioso, un puntuto, dissacrante felino. Provate a leggere i suoi fondi su Chiaia Magazine e sui giornali dove collabora e ve ne accorgerete. Bravo all’ennesima potenza.

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È riuscito in quest’antologia, divisa in quattro sezioni, giocando con vari generi letterari e giornalistici – elzeviro, apologhi, ritratti e racconti – a consegnarci un report narrativo e poetico sul Sud e su una magica e disincantata galleria di eroi e antieroi di cui t’innamori alla prima lettura. Il suo ‘Tropico’ vuole essere un diario, un’effemeride, un componimento narrativo, un lunario sulla gamma di Alfredo Cattabiani. Ma è ancora una manopola da sintonizzare sulle stazioni della Napoli che conta, riassume, schematizza, vede e provvede; uno spartiacque tra ‘lassamo fà a Ddio’ e ribellione; un preambolo alla autodeterminazione, alla reggenza.

Ma De Francesco è anche un romanziere stacanovista, lampante, perentorio che lascia frastornati e stupefatti, è un giornalista di strada che cammina con i piedi e lo strillo di raccontatori peregrini. Il suo è giornalismo di strada e di scrivania perché la pratica è forte di un’esperienza straripante. Egli è di stimoli abbondanti, d’immaginazione vivacissima. A Max mi lega l’amore primaticcio, prepotente per la carta stampata e il legaccio strabiliante per la terra cilentana: San Marco, Acciaroli, Futani, Palinuro, in cui spadroneggiava, a caccia di sirene biondissime, mio nipote Guglielmo il conquistatore.

Umberto Franzese

Grande napoletanista
e ideatore/organizzatore del Premio Masaniello

 

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